Magazine Cultura
Ho deciso comunque di scriverne una breve recensione, perché è stato il mio primo film della stagione cinematografica autunno-inverno romana, dopo il rientro da Bruxelles. Quindi, vi beccate questa mia recensione controvoglia (devo pure dire che oggi il mio umore non è dei migliori, dopo la "lavata" che mi sono presa in motorino e il cellulare impazzito per l'acqua).
Dunque, la storia non è certamente originale. Michael (Sam Worthington) e Joanna (Keira Knightley) sono sposati da tre anni e stanno insieme dai tempi del college. Si amano e il loro matrimonio sostanzialmente funziona, fino a quando lui parte per un viaggio di lavoro cui partecipa la sua nuova collega di lavoro, Laura (Eva Mendes), e lei riceve la visita di Alex (Guillame Canet), l'uomo con cui ha avuto una storia nel breve periodo durante il quale si era lasciata con Michael, prima del matrimonio.
Tutti e due dovranno fare i conti con la tentazione e l'attrazione rappresentata da ciò che non si conosce o ciò cui si è rinunciato, rispetto alla pacata felicità del quotidiano. Il tutto condito da dialoghi tra il cinico e l'adolescenziale, che più di una volta strappano la risata. Per tacere della stereotipicità dei personaggi, Keira Knightley nel ruolo della donna fragile e troppo cerebrale (incline alle involuzioni mentali), Eva Mendes in quello della tentatrice dalle forme generose (esplicita e provocatrice), i due uomini, l'uno sentimentale e incerto, l'altro infine vinto dall'istinto.
Insomma, non metto in dubbio che il tema sia interessante e in qualche modo universale, né che il mistero dell'amore, la difficile dinamica di passione e sentimento, la convivenza col dubbio, la difficoltà delle scelte siano situazioni che continuamente si affacciano alla vita di noi tutti. In fondo, fa parte di una forma di convenienza sociale pensare che un rapporto di coppia sia qualcosa di semplice, che una volta costruito viva di vita propria e che si possa fare a meno di rifondarlo giorno per giorno; d'altra parte, a volte penso che la cerebralità sia un danno della società contemporanea, poiché introduce un eccesso di meta-riflessione in cui tavolta rimaniamo intrappolati.
Mi comincio a chiedere se siamo davvero più felici delle generazioni precedenti, certamente meno abituate a farsi domande sul proprio benessere psicologico e la propria felicità in quanto più assorbiti da problemi concreti. O forse si tratta in qualche modo di una condanna alla consapevolezza con cui imparare a convivere. Ma, alla fine, anche il fatto di domandarselo dimostra che è un meccanismo dal qualche non riusciamo veramente a liberarci...
In ogni caso, assistere sul grande schermo a questo melodramma imperfetto, un po' banale e un po' sclerotizzato, e che non aggiunge niente a quanto già detto in modi certamente più profondi, è davvero troppo.
Il prossimo film va assolutamente scelto con maggiore accuratezza. :-)
Voto: 1,5/5
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