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Last Shift (2014)

Creato il 05 ottobre 2015 da Silente
Quando Satana chiama alle tre del mattino                                                                                  Last Shift (2014)
Come primo incarico, all’agente Loren tocca un turno di notte facile facile: una sorveglianza in una stazione di polizia vuota. Personale, documenti e oggetti sono stati spostati nella nuova stazione e non rimane che un piccolo sgabuzzino con una manciata di prove catalogate. Non funziona neanche il telefono, perché le chiamate vengono deviate automaticamente al nuovo indirizzo. Cosa può mai andare male?Si sa che il male si sprigiona di notte, il buio gli è buon complice e ne esalta ogni rappresentazione, anche quelle più innocue o figlie dei più sciocchi malintesi. E un luogo isolato è ambiente speciale per evocare l’orrore, in fondo bastano quattro mura e un soffitto per farsi allarmare dagli schiocchi del legno o dai topi che corrono in soffitta.  Il bello di Last Shift, quanto meno nelle sue fasi iniziali, è che Jessica Loren non ha alcun motivo di essere spaventata e, dopo un iniziale smarrimento per l’anomalia del compito assegnatole, appare sempre molto decisa e con un buon polso di fronte alle prime avvisaglie del soprannaturale che rapidamente si sta impossessando del luogo. Non era cosa poi così semplice da gestire, Jessica sarà pure una poliziotta ma a fronteggiare telefonate che sembrano provenire dall’inferno e strani personaggi che appaiono nella stazione vuota la professione e la professionalità possono passare, anche giustamente, in secondo piano, e invece lei è capace di razionalizzare, di rispondere con un sorriso, di tenere i piedi ben piantati per terra fino a quando, inevitabilmente, l’orrore dilaga ed esplode lasciandola senza scampo.Last Shift (2014)
E qui Anthony DiBlasi sferra una perfetta sequenza di incubi: abbatte le pareti della stazione, espande le stanze, annega i vuoti di persone, sfarfalla la realtà con sguardi febbrili e occhiate maledette, e in generale distorce, contraddice e crea confusione raccontando per immagini e suoni brutali l’orrore che piano piano si sta insinuando. Che è anche una bella storia, è accurata, scelta bene nell’argomento e nei tempi, è giocoforza raccontata in più momenti ma nell’insieme è evidente e apprezzabile gli ottimi interventi di mostrato o la precisione dei dialoghi per sottolineare certe scene. L’insistenza delle telefonate, le apparizioni dei prigionieri, e su tutto il cerchio di ragazzine con la maschera: sono istanti di terrore delirante ben rappresentato dall’atmosfera sporca e cruda, e risaltano su uno strato di tensione dove risplende una bella combo di buon mestiere. I truchetti per spaventare sono usati tutti ma non infastidiscono, c’è una sorta di visione più elegante a incorniciarli, la professionalità è evidente e l’effetto funziona.L’ambiente è umido, scomodo, il disagio che si prova è amplificato dalla fotografia scura e dal grigiore delle pareti, che più che soffocare sembrano un qualcosa che ostruisce naso e bocca e impedisce di respirare bene. Il corridoio diventa un labirinto, la stanze si confondono e si spostano, Jessica incontra personaggi dei quali è difficile, prima ancora di capire le intenzioni, se siano reali o meno, ma nel malessere con cui DiBlasi destruttura la situazione la concretezza con la quale ha costruito i suoi orrori appare molto solida e stabile.
Last Shift non è un sovrapporsi di immagini utili a generare caos, DiBlasi non cerca di tormentare occhi e mente di chi guarda negandogli un filo lineare, il suo terzo film oscilla piacevolmente in atmosfere vaneggianti senza rimanerci incastrato, l’incubo è reale perché pur sconvolgendo e lasciando senza risposte nasce da radici di ferro, è forse è proprio questo l’elemento che lavora meglio.  

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