(Foto: Lapresse)
Si è parlato molto di
università nelle ultime settimane. Un po’ per le dichiarazioni del ministro del Lavoro Giuliano Poletti (
“Meglio laurearsi presto che prendere 110 e lode”) un po’ per i numeri che raccontano come, più che il voto, il problema sia il
numero dei laureati italiani. Specialmente fra i 30 e i 34 anni, fascia di riferimento per la popolazione in età da lavoro, appena il
23,9% possiede un titolo del genere. Fra l’altro, per un contorto cortocircuito, con la Repubblica Ceca siamo gli unici dell’
Ocse in cui il tasso d’occupazione tra 25 e 34 anni è il più basso tra i laureati che fra i diplomati.
Probabilmente (anche) perché i problemi arrivano dal livello immediatamente inferiore, quello dell’
istruzione secondaria di secondo grado. Per noi licei e istituti, nel resto del mondo
upper secondary school,
high school e diverse altre etichette. Anche questo risultato si fa sentire: secondo dati Ocse e Uis, Unesco Institute of Statistics, in Italia il
26% dei cosiddetti “giovani adulti” (25-34 anni)
non possiede un titolo di studio superiore di secondo livello. Quello che chiamiamo semplicemente
diploma. Nel 2000, 15 anni fa, la percentuale si muoveva intorno al 40%. Quindi si migliora ma lentamente: c’è ancora tanta strada da fare per cogliere i target europei.
Molto si deve all’elevato tasso di abbandono e
dispersione scolastica. Nell’anno scolastico 2013/2014, sui 597.915 che avevano iniziato la prima classe nel 2009-10, 167mila non risultavano più iscritti. Nel 2014/2015 sono stati pochi di meno,
163.589. Negli ultimi quindici anni
oltre tre milioni di ragazzi e ragazze hanno quindi mollato le lezioni prima dell’esame di maturità. Si tratta del
31,9% dei circa 9 milioni di studenti che hanno iniziato in quei tre lustri le superiori nella scuola statale. Un autentico patrimonio smarrito lungo la strada.
Sono quasi sempre finiti a ingrossare – quando non hanno concluso privatamente o con formazione di altro tipo – le file dei cosiddetti
neet, che infatti sono stimati intorno ai
2,4 milioni, in una neanche troppo sorprendente combinazione. I giovani fra 15 e 29 anni che
non studiano,
non lavorano e non sono impegnati in un qualche genere di
percorso formativo. A poco è servito Garanzia Giovani, il programma europeo per fornire loro alternative in termini di stage, occupazione o formazione. In termini percentuali, da noi la dispersione si aggira sul
17%, nel gruppo dei peggiori nove Paesi europei, anche se quel dato si riferisce alla scuola dell’obbligo, dunque al ciclo di scuola secondaria di primo grado.
Tornando agli istituti secondari, fra i peggiori Paesi al mondo c’è la
Cina, dove ben il 64% degli appartenenti alla fascia 25-34 anni non ha un titolo di scuola superiore di secondo grado. Seguono altri Paesi fra cui l’
Indonesia (60%), il
Messico (54%), la
Turchia (50%), il
Brasile (39%) e la
Spagna (34%). Fra i vicini europei la
Norvegia è al 19%, la
Francia al 15%, il
Regno Unito a 14%, la
Germania a 13% e l’
Irlanda al 10% (già in linea rispetto agli obiettivi europei per il 2020 legati, come detto, al grado precedente). Fra i tassi più bassi al mondo il
Canada col 7% e la
Corea del Sud col 2%.
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