Ho letto un’intervista a Joyce Carol Oates in cui dice: “Sto lavorando a una storia – beh, io lavoro sempre a qualcosa di diverso, quindi si tratta sempre di qualcosa di effimero, in un certo senso. Sono le riflessioni morali a impensierirmi” e ho pensato a quant’è buffa l’idea che un essere umano lavori a una storia, quando invece, si sa, di solito accade il contrario, ossia è la storia che fa tutto il lavoro per noi.
Domenica sono andato al laghetto di Villa Borghese, ho guardato i turisti che facevano la fila per noleggiare una barca, un gruppo di bengalesi che suonava canzoni religiose e due carabinieri a cavallo che salutavano i bambini con grandi sorrisi, ah, poi ho guardato una coppia su una panchina, lei era seduta e lui era sdraiato con la testa sul grembo di lei, chissà perché in questa particolare combinazione storica dell’universo è sempre lui quello che dorme, mentre è sempre lei quella che veglia sul mondo con l’aria pensierosa.
Mi piacerebbe che qualcuno mi mostrasse il linguaggio macchina delle relazioni umane, il codice in cui sono scritti i comportamenti che determinano il rapporto tra due persone, le varie celle di memoria in cui vengono fissate le storie, il flusso decimale a cui corrisponde ogni azione, l’algida monotonia dei comandi, mi piacerebbe leggere chilometri di incomprensibili successioni alfanumeriche, sentirmi come un boscimane posto davanti alla Divina Commedia, mi piacerebbe passare con gli occhi sulla descrizione del momento fatale in cui qualcosa si rompe, e leggerlo senza provare niente.