La sottovalutazione del lavoro coloniale, commentata da Marx a proposito del lavoro qualificato e del lavoro non qualificato (“skilled and unskilled labour”) è basata su illusioni, convenzioni, tradizioni (cfr. “Il Capitale”, Libro I, cap. V, nota) e in ogni caso su di un’ottica razzistica (la fondamentale “ideologia” imperialistica) che vede il lavoro coloniale come “meno valido” del lavoro europeo. È questa ottica distorta che viene applicata alla “valutazione” delle importazioni provenienti dalle fabbriche, dalle miniere o dalle piantagioni indiane, africane, di Hong-Kong. L’importatore sottovaluta tali importazioni (Marx stesso ne parla nel Primo Libro trattando dei diamanti e dell’oro proveniente dalle Americhe nel periodo dell’accumulazione originaria). Egli dimentica però subito tale pregiudizio quando si tratta di vendere quei prodotti in Inghilterra, ad esempio. Essi vengono allora trattati come prodotti “nazionali”. Si cambiano le etichette, le si abbelliscono “all’Europea” e questo provvede a soddisfare il pregiudizio razziale dell’acquirente europeo, pregiudizio che egli ha consolidato in ormai cinque secoli di storia.
Hosea Jaffe – “Marx e il colonialismo”, Jaca Book, 1976