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L’economia italiana è attraversata da una fase di profonda crisi. Le politiche di bilancio di segno restrittivo, la caduta del clima di fiducia degli operatori economici, e la riduzione del credito si sono tradotti in un crollo della domanda interna. La caduta del Pil nel 2012 aveva superato il 2% e il 2013 ha visto una contrazione del 2%.
La crisi del mercato del lavoro italiano è un effetto della caduta del prodotto. Nel confronto europeo vi sono altri Paesi in cui il mercato del lavoro, tenuto conto dell’andamento del Pil, ha fatto meglio dell’Italia. L’entità delle perdite occupazionali è stata contenuta in Italia dalla riduzione delle ore lavorate per occupato e dalla flessione della produttività del lavoro. Le imprese hanno puntato sull’ottimizzazione di produttività, e questo si è tradotto, a parità di caduta del Pil, in una maggiore contrazione della domanda di lavoro, la quale ha generato una miriade di disoccupati.
Il problema della disoccupazione affligge anche i Cittadini Italiani, nel rapporto annuale del Cnel si legge che nel 2013 i disoccupati italiani sono , circa il 12,7% dell’intera popolazione.
Gli stranieri che hanno un lavoro, invece, sono 2 milioni e 334 mila.
Per risolvere almeno in parte il problema del lavoro si è cercato di aumentare i programmi anche con la ricerca di lavoro di personale nel settore domestico, da dedicare alla cura dei propri cari ed in questo contesto che è nato il programma “SI.Con.Te”.
Il programma Si.Con.Te. si pone come principale obiettivo il potenziamento dei supporti finalizzati a consentire alle donne la permanenza o il rientro nel mercato del lavoro implementando servizi ed interventi e attuando, attraverso un lavoro di networking, forme di sinergia tra le diverse misure di promozione di azioni positive rivolte al genere femminile, ma come è possibile che questo programma sia solo rivolto a persone extracomunitarie?
Oggi 19 febbraio 2014 una Cittadina Italiana si è rivolta all’ufficio del lavoro a Gorizia chiedendo di accedere a questo servizio oppure in alternativa ad un lavoro di almeno 20 ore settimanali come colf, assistenza o altro; la risposta è stata veramente sconcertante: “purtroppo questi lavori sono solo per gli stranieri”.
Chi gestisce questo progetto ha il dovere di prendere provvedimenti su questo gesto inusuale di smentire il principio della “sacralità del lavoro”, e dovrebbe dire con fermezza che nessuna interpretazione estensiva sul diritto al lavoro potrà mai valere prima per gli stranieri e poi per i Cittadini Italiani, violando i principi dello Stato di diritto, ed a fare di una parte dei propri Cittadini degli individui soggetti a forme, più o meno estese, di “capitis deminutio“.
Quando uno Stato si permette di estromettere dal lavoro un suo figlio inteso come Cittadino Italiano in nome di un fantomatico buonismo è segno che ha fallito il tema di Giustizia Sociale.
Coordinamento Mir di Gradisca d’Isonzo.