Lavoro e Pil

Creato il 31 gennaio 2011 da Concretezza

Nel suo articolo per la Fondazione FareFuturo Gianfranco Fini guarda al Pil con giusto sospetto, portando in Italia un discorso affrontato con coraggio in Inghilterra da Cameron. Sostiene infatti che il benessere non è riscontrabile con il solo Pil, che ci dice magari quanto cresce l’economia, ma non come cresce. Non descrivendo quindi la qualità della vita, ossia servizi che funzionano, mobilità sociale, salubrità dell’ambiente e tutte le utopie italiane.
Il discorso ovviamente è impeccabile. Ma quello che si può sottolineare è in primis la critica nei discorsi di alcuni politici di parametri tecnici che in questi anni sono stati considerati i padroni della verità. E che invece non rappresentavano nulla.
Quando infatti ci si allontana, come è accaduto, da una politica fatta di idee e di progetti necessariamente si va verso una specie di tecnocrazia, che ha portato ad una situazione in cui l’economia e la finanza tendono a sotterrare quello per cui la politica serve, ossia il cambiamento, l’ideazione di una società diversa, perchè ingiusta o per necessità evolutive.
Anche il concetto di lavoro, messo in primo piano rispetto alla finanza dalla crisi, è un qualcosa da rivedere anche per i più acerrimi liberali. Senza leggere ciò come un tradimento del liberismo, ma come un’evoluzione positiva e che guarda con concretezza al presente.
Contro c’è un socialismo conservatore sempre meno in grado di rappresentare la società, che in Europa perde praticamente ovunque. E che in Italia, complice la Fiom, tende a trasformare in voti quelli che sono i malumori delle persone. Senza risolvere i problemi dei lavoratori e soprattutto rischiando di scacciare investimenti futuri e presenti da parte delle grandi aziende.
Stare dalla parte del lavoro non vuol dire finire fuori mercato, ma vuol dire ad esempio detassare il lavoro e tassare le speculazioni finanziarie. Senza ritornare a scontri padrone vs operai, che qualcuno sogna per aspirazioni personali.
Stare dalla parte del lavoro non significa neanche proteggere strenuamente i privilegi di una classe di lavoratori a discapito di altri e di chi si vuole inserire nel mondo del lavoro. Pensiamo infatti all’articolo 18, che copre solo una minoritaria parte dei lavoratori e che di fatto blocca la crescita delle piccole aziende e una gestione rigorosa nel pubblico.
Sarebbe utile per esempio prendere in considerazione l’idea complessiva di fare una riforma dell’articolo 18 e della legge Biagi, uscendo da un dualismo precariato/intoccabili e arrivando ad un lavoro flessibile con diritti.
Ovviamente per fare tutto ciò ci vuole un governo, un parlamento, delle istituzioni… Invece ci ritroviamo in una rissa perenne, intercettazioni e minacce tirate fuori con troppa leggerezza.
Insomma un tipico dibattito italiano di questi anni. In cui quello che realmente è utile, e non propaganda, rimane di nicchia, fuori dai palazzi e soprattutto dalle televisioni. Rimanendo così affidato alla tradizione orale o scritta, di giornali, università e fondazioni.
Probabilmente il mezzo migliore per riniziare a parlare di politica reale è internet. Serve per riuscire ad avere consapevolezza di quello che si vota, a progettare il futuro meglio e quindi a cacciare questa selva di affaristi di basso livello (con le dovute eccezioni) che troviamo in parlamento e nei territori.



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