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Lavoro nero: che fa il Jobs Act?

Creato il 26 febbraio 2016 da Propostalavoro @propostalavoro

640px-Sharecroppers_chopping_cotton_-_1941Durane la recente conferenza stampa con i giornalisti stranieri, con la quale il Premier Renzi ha presentato, tra le altre cose, i – presunti – successi della sua riforma del lavoro, non sono stati puntati i riflettori su uno dei più gravi problemi del mondo del lavoro: il sommerso.

Da anni, infatti, il lavoro nero è una delle peggiori piaghe del sistema lavorativo italiano – specie al Sud – e da anni Premier e Ministri del Lavoro hanno presentato le loro ricette, una più inefficace dell’altra, visto che il fenomeno è diventato sempre più dilagante, causa crisi economia.

Secondo le ultime rilevazioni Istat, risalenti al dicembre 2015, infatti, l’economia illegale vale qualcosa come 206 miliardi di euro (nel 2011, erano 187 miliardari), ovvero il 12,9% del PIL nazionale: un fenomeno enorme, che coinvolge oltre 3 milioni di lavoratori. Cifre pazzesche, che ci piazzano al vertice della classifica in Europa.

Nulla di cui andare fieri, ovvio, soprattutto quando si parla di uno degli aspetti peggiori: il caporalato. Il sistema, attivo in particolare nel settore agricolo, coinvolge, nella maggioranza dei casi (circa l’80%), manodopera straniera che, in cambio di una giornata di duro lavoro, si vede riconoscere la misera paga di 2,50 € l’ora.

Cosa si fa per contrastare il fenomeno? Si strepita, si promettono interventi legislativi, si minacciano pesanti sanzioni, ma una volta spente le telecamere, tutto torna come prima. E il Jobs Act non promette di fare meglio.

Lo scorso ottobre, infatti, la riforma renziana ha rivisto le norme sulla lotta al sommerso, introducendo due novità: depenalizzazione del lavoro nero che non fa ricorso a forme di costrizione che hanno valenza penale (violenza fisica, limitazioni della libertà, minacce, ecc.) e innalzamento delle pene amministrative. Le nuove direttive sono entrate in vigore, a partire da questo febbraio.

Altra importante modifica: per lavoro nero non viene più inteso il singolo giorno di lavoro, senza aver sottoscritto un regolare contratto, ma un dato periodo di tempo, scaglionato per 30 giorni. E' su queste basi che si applicano le sanzioni.

Infatti, nel caso in cui un imprenditore abbia al suo servizio dei dipendenti in nero, fino ad un periodo di 30 giorni, se scoperto, viene condannato al pagamento di una multa che va dai 1500 ai 9 mila euro, per ogni singolo dipendente. Se, invece, il periodo di lavoro è compreso tra i 30 ed i 60 giorni, la penale va dai 3 mila agli 8 mila euro, per ciascun dipendente; l’importo va dai 6 mila ai 36 mila euro, se il periodo di sommerso supera i 60 giorni.

Il datore di lavoro va incontro ad altri problemi. Primo: la diffida, da parte degli ispettori del lavoro, con l’obbligo di assumere i dipendenti irregolari, entro 120 giorni, a tempo indeterminato (anche part time, ma non sotto il 50%) o a tempo determinato, per un massimo di 3 anni. Secondo: sospensione dell’attività, se la forza lavoro irregolare è superiore al 20% del totale, con annessa sanzione di massimo 3200 euro. Terzo: processo penale se, nel caso di mancati versamenti contributivi, la somma superi i 10 mila euro.

Tante novità, quindi? Per niente. Possiamo passare giorni e giorni ad elencare le norme, i progetti ed i politici, più o meno preparati, più o meno motivati, che hanno provato a mettere un freno al fenomeno, ma quella cifra, quei 206 miliardi di euro, dicono che è stato tutto assolutamente inutile.

Perché? Innanzitutto, il sistema repressivo si è rivelato inadeguato, causa controlli spesso sporadici e non continuativi. Solo negli ultimi tempi, da tv e giornali, apprendiamo di una maggiore stretta, per la verità, però, mossa più dal bisogno della Pubblica Amministrazione di racimolare denaro (con le tasse e con le multe), per far fronte alle difficoltà di cassa (spending review, debito pubblico, tagli, ecc.), che per sincera lotta di civiltà.

Ed è, proprio, qui il problema: cò che serviva veramente, l’Agenzia Unica sul Lavoro – con compiti, tra le altre cose, di controllo e repressione del sommerso -, che era tra le pagine del progetto iniziale, tra quelle dei decreti attuativi e nelle parole decantate a onor di telecamere, ancora non si vede.

Addirittura, lo stesso Jobs Act non aiuta: il sistema dei voucher, infatti, è un invito a forme di lavoro dipendente mascherato, con il solo fine di risparmiare su assunzioni, contributi e tasse varie, così come nel recente passato lo sono stati i co.co.pro. e le false partita iva.

Proprio per questo, per contrastare usi e abusi, serve un'Agenzia di controllo, ben fornita non solo di uomini e mezzi, ma anche di supporto legislativo chiaro ed efficace. Restiamo in attesa di sapere se è proprio questa, l'idea di Agenzia insita nel Jobs Act.

Danilo


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