In molti hanno definito le osservazioni del Fondo monetario internazionale sulla disoccupazione una sorta di “doccia gelata” per l’Italia. Secondo il Fmi, infatti, il tasso di disoccupazione nel nostro paese resterà alto ancora a lungo e ci vorranno vent’anni per tornare ai livelli pre-crisi. Il governo risponde che le stime del Fmi non considerano le riforme strutturali già introdotte, tuttavia, e al di là delle questioni dialettiche, non si può non ricordare come altri organismi siano giunti a conclusioni simili. Il processo di riforme è senza dubbio fondamentale per uscire dalla crisi, ma il mercato del lavoro – non solo in Italia – ha subìto un deterioramento tale per cui recuperare terreno non sarà affatto un’impresa semplice. Tempo addietro era stata la Banca centrale europea ad osservare qualcosa di analogo. In sintesi: negli anni della crisi è cresciuto nell’Ue il tasso di disoccupazione strutturale – che ha ripercussioni negative sul Pil – a causa soprattutto dell’allungamento del periodo di disoccupazione medio (si pensi ai casi di disoccupazione di lunga durata, ovvero di coloro che non trovano lavoro da 12 mesi o più). In questo modo i milioni di posti di lavoro persi è difficile ora riassorbirli tutti, nonostante il momento più favorevole. Il punto, che sottolinea lo stesso Fmi, è che senza una “significativa ripresa della crescita” sarà necessario aspettare prima di osservare un miglioramento del mercato del lavoro, una condizione che riguarda anche paesi come Spagna (ma in questo caso si prevedono dieci anni per tornare ai livelli pre-crisi) e Portogallo. L’Italia, non va dimenticato, è reduce da tre anni di recessione. Già l’anno scorso il Cnel quantificava in un milione di posti di lavoro persi l’eredità più pesante della crisi economica a cui andava aggiunta la difficoltà dei giovani ad accedere al mercato del lavoro e il numero degli scoraggiati, nel frattempo cresciuto a tre milioni (e anche più stando agli ultimi dati Eurostat). Dunque, concludeva, l’unico modo per tornare ai livelli precedenti in un lasso di tempo ragionevole sarebbe creare due milioni di posti di lavoro entro il 2020, ipotesi che però appare remota. In attesa di conoscere i dati sulla disoccupazione che l’Istat renderà noti nei prossimi giorni, il saldo relativo ai contratti stabili è tornato ad essere negativo nel mese di giugno. E appena un mese fa l’Istat affermava che in Italia (periodo di riferimento il primo trimestre 2015) ci sono oltre 3,5 milioni di persone che non cercano impiego, pur essendo disponibili a lavorare. Secondo l’Eurostat l’Italia è maglia nera nell’Ue e i disoccupati italiani che non sono alla ricerca attiva di un impiego sono infatti il 13,6% della forza lavoro totale e di questi il 60% sono donne.
(anche su T-Mag)
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