Renzi sta chiedendo un regime di stabilità e certezza, che non danneggi i lavoratori e possa garantir loro una serie di tutele rassicuranti: Serve un paese che vuole investire e dare risposte ai nuovi deboli che sono tanti e hanno bisogno di risposte diverse da quelle date finora. La rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c’è uno Stato amico che li aiuta. Siamo l’unico partito che discute al proprio interno con una certa animosità, ma questo non può fare venire meno il reciproco rispetto. Chi non la pensa come la segreteria non la pensa come i Flintstones. Chi la pensa come la segreteria non è emulo di Margaret Thatcher.
Ma se questi sono i buoni propositi del premier, c’è chi replica animosamente, facendo sembrare la spaccatura del Pc alle porte. Bersani ad esempio: Noi sull’orlo del baratro non ci andiamo per l’articolo 18. Ci andiamo per il metodo Boffo, perchè se uno dice la sua, deve poterla dire senza che gli venga tolta la dignità. Ai neofiti della ditta dico che non funziona così. Io voglio poter discutere prima che ci sia un prendere o lasciare, prima che mi si carichi della responsabilità di far traballare un partito o il governo. Sembra proprio che nel Pd regni una sottospecie di scala gerarchica, che impedisca agli adepti di esprimere la propria opinione. Intanto Bersani rincara la dose: Secondo me in questa delega lavoro c’è un deficit di capacità riformatrice. Noi abbiamo fatto riforme hard, non mi si venga a dire che non abbiamo fatto niente. Non ci trema il polso, ma con questa riforma perdiamo un’occasione.
Ma difatti lo stesso D’Alema attacca l’operato Renziano: Ho sentito una serie di affermazioni senza fondamento. Il fascino dell’oratoria qualche volta non si attiene alla realtà. A Renzi non resta che incassare il colpo in questo. Le sue abilità oratorie non l’hanno salvaguardato stavolta. D’alema poi passa all’articolo 18: Non è vero che l’articolo 18 è un tabù da 44 anni, visto che è stato cambiato due anni fa (dice alludendo alla riforma del 2012, ndr) e di fatto non esiste quasi più. Esiste una tutela residuale, bisognerebbe monitorare gli effetti della norma e poi intervenire su quella norma.
Intanto, i numeri sarebbero favorevoli a Renzi, con circa il 68% dei consensi sui 200 membri della direzione. La minoranza non dovrebbe essere di ostacolo, ma in caso di rivincita in Senato, in cui vanta sette voti di vantaggio, sarebbe necessario un accordo con la destra, che però provocherebbe la tangibile e gia attuale (seppur velata) rottura del Pd.
Gianni Cuperlo non auspica alla frattura dei Dem: Io ho posto questioni con spirito collaborativo per rendere efficace la riforma e fino all’ultimo continuerò a sperare che, da parte del segretario, ci sia l’impegno a trovare una soluzione condivisa.
Fassina è invece più radicale: Se il premier oggi alla direzione del Pd persisterà nell’indicare sul tema del lavoro come unica via la cancellazione dell’articolo 18 non saremo con lui. Io voterò contro.
Stesso parere condiviso da D’Attorre: Se si andrà alla rottura, sarà chiaro come il sole che l’ha voluta Renzi; se la linea è l’abolizione totale dell’articolo 18, mi pare complicato non dire di no.
Per abbiamo la possibilità di riconfermare la gerarchia aleggiante nel Pd, che adesso sta quasi smontandosi: la chiave di tutto è riposta nelle mani di Renzi. A lui spetterà la proposta sull’articolo 18 e dall’esito dei pro e i contro dipenderà la scissione o meno del partito.