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Lavoro, sindacati e business: dove si va?

Creato il 16 ottobre 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

Lavoro, sindacati e business: dove si va?Da un'intervista a Michael O’Leary, amministratore delegato Ryanair, sul Corriere della Sera dell'11 ottobre.

I vostri lavoratori non hanno rappresentanti sindacali? 
«No e abbiamo avuto un solo sciopero in trent’anni di attività. So che in Italia non è così ed ecco che fine ha fatto Alitalia: un business influenzato dalla politica e dai sindacati non solo non fa soldi, ma è destinato a perdere». 

Quindi è proprio così? Il sindacato porta a business perdentiNo, non è esattamente così, ma non è detto che non lo possa diventare.

In Germania, ad esempio, il sindacato più rappresentativo ha una poltrona nei vertici delle grandi società, cioè nell'organo di controllo, grazie ad un compromesso storico tra il capitale ed i lavoratori. Non si cita la Germania a caso: le imprese tedesche dominano i mercati ed i loro lavoratori godono dei migliori standard in Europa. Ricordiamo, anche ed ancora una volta, che la Germania vanta il felice primato di aver ridotto il proprio tasso di disoccupazione giovanile durante l'ultimo periodo di crisi economica.

Purtroppo però le parole di O'Leary non possono essere bollate come becero qualunquismo, anzi, ha in parte anche ragione; non, chiaramente, nella parte in cui accusa i sindacati di ostacolare l'impresa, ma quella in cui accusa la mala gestio italiana della compagnia di bandiera.

Allora sì che può ben dire che sono politica e sindacati ad essere deleteri, ma, appunto, in quest'ordine: la politica di preservazione della compagnia di bandiera non ha funzionato, perciò la politica sindacale ne ha risentito.

È anche vero che, come riportano studi economici ed articoli di divulgazione, la presenza di sindacati forti impedisce il ricambio generazionale e, di conseguenza, aumenta la disoccupazione giovanile.

Il ragionamento alla base di quanto appena detto è semplice: il sindacato fa l'interesse dei propri iscritti, prima che della generalità dei lavoratori, e se questi sono adulti prime age e a tempo indeterminati, difficilmente le lotte sindacali coinvolgeranno giovani precari non sindacalizzati, come è il caso, peraltro, del mercato del lavoro italiano. Se il sindacato fa solo il proprio inrteresse, quindi, il mercato del lavoro ci rimette comunque, come nel caso in cui fossero i datori a perseguire meri interessi di profitto.

Quello che ripugna del discorso di O'Leary è la velata allusione al lavoro come a un costo, un qualcosa che il datore accorto dovrebbe limitare e tenere sotto controllo, perché non sia un fastidio. E a dirlo è proprio un datore "di successo", per quanto controverso, il rappresentante di un'azienda che è entrata nel vocabolario di tutti i giorni.

Questo è quello che ci attende? Un mercato di lavoro senza sindacati sul modello Ryanair? Attenzione, non diciamo un mercato del lavoro in cui i sidacati e gli scioperi sono superflui, ma uno in cui non vi sarà più spazio per la dialettica tra istanze datoriali ed esigenze dei lavoratori.

Sicuramente questo non è uno scenario desiderabile, ma potrebbe essere la meta a cui sta portando un mercato del lavoro mal regolato come quello attuale, in cui a prevalere sono gli interessi pecuniari. Ancora una volta, quindi, un invito a considerare i segnali che riceviamo e a considerare i valori del lavoro come una priorità da tutelare e salvaguardare.


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