Cent’anni fa è nato John Cage e noi di lui abbiamo parlato un po’. Lawrence English prende quello che è stato uno dei suoi ultimi lavori (se non l’ultimo), tra l’altro l’unico legato al “cinema”: One11 riflette sulla luce, sul vuoto e sull’aleatorietà; nessun attore, solo spazi senza niente che si illuminano, probabilmente nel tipico modo in cui l’avanguardia ci vuol far partire dagli estremi per ridiscutere tutto. English ha iniziato da qui e dal rapporto tra Cage e il buddhismo zen, il che in effetti non è male se il tuo genere è l’ambient, da sempre legato alla contemplazione, alla meditazione, alla ricostruzione di un paesaggio spesso spoglio.
Di quel lavoro visivo di Cage le tracce del disco mantengono una sorta di purezza, segreto forse del loro invidiabile fascino, dovuto a drone e riverberi che si stendono tranquillamente e senza scosse. Qualcosa di bello, semplice e senza tempo, che potrebbe suggerire persino gli scenari artici quasi immobili cari all’etichetta italiana Glacial Movements o i paesaggi da sogno di uno Steve Roach. Nulla di innovativo, dunque, e forse addirittura nulla che sia chiaramente debitore del genio a cui è dedicato il disco, per quanto chi – tra tutti gli artisti citati – in qualche modo non deve a Cage lo “sblocco” di determinati meccanismi? Ma in questo gioco di padri così ovvi qui potremmo far rientrare pure Brian Eno, una volta sentite tracce così paradigmatiche, quasi sempre votate all’atarassia, tranne rari casi in cui scivola dentro un po’ d’inquietudine (ad esempio: “Naematoloma Sublateritium”).
P.S.: l’album, come si vede dalla copertina e si evince dai titoli, è legato ai funghi, materia per la quale Cage si presentò davanti a un come sempre attonito Mike Bongiorno, all’epoca di “Lascia o Raddoppia” (com’è bello il web).
Tracklist
01. Jansia Borneensis
02. Otidea Onotica
03. Hygrophorus Russula
04. Naematoloma Sublateritium
05. Coprinus Comatus
06. Amanita Inaurata
07. Gymnosporangium
08. Entoloma Abortivum