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Bene. E dov'è la notizia? Un canone fatto in questo modo non è altro che il gioco della torre (lo tengo-lo tengo-lo butto), dove vince l'esclusione più sensazionale. Ciascun lettore ha le sue idiosincrasie e nessuno può discuterle senza apparire ridicolo, esiste una vera e propria - misteriosissima - chimica della lettura. Ma ripeto: dov'è la notizia? Dall'articolo divertissement di Borgia non mi pare che si possano trarre dati che descrivano lo stato di un canone più di quel che emergerebbero in un ameno circolo di lettura della nostra provincia. Soprattutto, non ci sono né statistiche, né informazioni che possano trapassare da parte a parte elementi ricognitivi della nouvelle vague letteraria nell'insieme.
Chi avesse la pazienza di leggere davvero e guardare in prospettiva storica la letteratura saprebbe che il canone è sempre stato affiancato da fitte schiere di denigratori: per fare solo un esempio, i classicisti ricorderanno senz'altro una pagina celeberrima e feroce di Mommsen contro Cicerone, quello di historia-magistra-vitae e così via. Ma non c'è autore classico che non si ponga in una determinata costellazione a svantaggio di altri nomi, spesso proprio osteggiati, dello stesso canone-feticcio al quale diciamo di tenere tanto. Nessun classico, per il solo fatto di esserlo, vanta l'appartenenza al nostro concetto di classicità, né quello collettivo, né - tanto meno - quello individuale.
Gli autori nuovi - come qualunque altro lettore - hanno il sacrosanto diritto di privarsi di Maupassant o di Hemingway e ciò sarà notizia ghiotta per i loro futuri e appassionati biografi. Quello che non va, nell'articolo di Borgia, a mio avviso, è che si vuol interpretare come un fenomeno generazionale un insieme di legittime rimostranze, senza peraltro un tentativo di individuare delle voci positive all'interno dello stesso canone, o anche all'esterno. Un bel consiglio di lettura non ce lo danno, questi giovani scrittori? Visto in un articolo si cerca sempre la notizia, si pone un problema: in questi termini, il pezzo - nella neutralità della sua forma - sembra un affondo al concetto stesso e direi alla legittimità del "classico" in quanto tale, alla sua autorevolezza. Ora, quale pedana dà il diritto di smontare un intero sistema?
Un classico può anche non piacere, non comunicare più: nessuno ci ha lasciato in eredità l'obbligo di asservire per l'eternità il messaggio di Omero o di Madame Bovary. Solo che leggere Omero oggi non vuol dire affatto precipitare indietro nel tempo, bensì guardare al modo in cui Omero è arrivato fino a noi, quello che ha significato fino al momento in cui i miei occhi hanno deciso di scorrere parola su parola fino all'ultimo esametro. Noi, leggendolo, siamo la prova dell'attualità di Omero e, se un giorno, Iliade e Odissea smettessero di parlarci, vorrebbe dire solo che da tempo ci siamo allontanati da quel mondo.
Non mi crea nessuna inquietudine pensare che un giorno leggeranno forse Mattia Signorini o Nicola Lecca con la stessa tensione ermeneutica che finora noi abbiamo dedicato a Virgilio. Quello che mi disturba è il boicottaggio al concetto di classico come fenomeno specifico e paradossale del mondo moderno, ovvero il tentativo di derubricare in toto la classicità come patrimonio da salvaguardare. Quando Shakespeare e Corneille avranno smesso di parlare a un intero popolo, beh, l'uomo ne farà pure a meno a buon diritto. Ma lasciamo che i ragazzi e gli uomini di oggi si preparino ancora ad incontrarli, ad affrontarli senza pregiudizi negativi e far spazio in loro, senza equivoci di sorta o malintesi falò liberatori.
Anche senza idiosincrasie o giudizi di merito dei nuovi nomi della letteratura, ciascuno di noi è liberissimo di far piazza pulita di Thomas Mann dalla sua vita. Auguro a tutti noi letture più consapevoli e migliori.
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