Magazine Cultura
Non che la lettura isolata di questo volume sia impervia o poco gratificante, sia chiaro: appare tuttavia poco perspicua, una messe di informazioni e analisi decontestualizzate, soprattutto se si aggiunge che gli esempi riguardano autori e romanzi inglesi del tutto ignoti o appena orecchiati da un classicista come me. Mi perdonerà, spero, Franco Moretti se mi trovo a dire qui che il valore specifico di questo volume è costituito dal generoso saggio in appendice di Alberto Piazza: il genetista dell'università di Torino, alla luce della sua disciplina, reinterpreta con chiarezza esemplare i problemi posti dallo studio in questione. La letteratura vista da lontano è un tentativo di fornire i presupposti per un'analisi statistica del fenomeno "romanzo" (giacché solo su questo genere ci si concentra). Gli strumenti intellettuali individuati per un lavoro di tal fatta sono tre: grafici, carte e alberi. Il percorso - nel nome della comparatistica - è ricco e ambizioso e vuol essere un progressivo addentrarsi dalla dimensione quantitativa - preferenziale laddove si ridiscutono numeri e tassonomie desunte da fonti diverse - fino a un tentativo definitorio del fenomeno letterario stesso, cercando, dunque, di superare il limite imposto dall'unica tipologia testuale prescelta nel romanzo.
La chiave di volta, ma è Alberto Piazza a mostrarlo con grande incisività, mi sembra essere il concetto di genere ("forma che dura nel tempo... sorta di Giano morfologico, con una faccia rivolta alla storia e l'altra alla forma", p. 23) che attraversa l'intero studio. Dalla dialettica tra genere e sottogeneri del primo capitolo alla definizione di un oggetto di conoscenza e delle sue dinamiche evolutive nel terzo, si ha qui un percorso che è solo l'inizio di un modo più sistematico di ragionare sulla letteratura. Modo che, sia chiaro, può non essere condiviso dal lettore comune, anche molto informato, ma che rappresenta in effetti una possibilità di dialogo metodologico tra aree scientifiche di norma ritenute estranee. Sotto questo aspetto, perfino l'ambiguità tra carta e mappa - sospese entrambe tra geografia e geometria - mi sembra foriera di cortocircuiti particolarmente fertili per il letterato, in quanto crisi di un sistema monolitico e astratto privo di riscontro in altri campi del sapere e dunque di osmosi metodologica con altre discipline (ciò che contribuisce all'isolamento della formazione umanistica oggi).
Mi pare che qui il problema non sia se il fenomeno-romanzo sopporti un simile studio anatomico, che anzi ritengo indispensabile a un certo livello di impegno personale verso la letteratura. Quello che mi sfugge è l'entità del salto tra lettore (soggetto che, per professione e per fede, prediligo) e studioso; o, su un piano didattico, la ricaduta benefica che il lavoro di quest'ultimo possa avere sul "dilettante". Si potrebbe obiettare che La letteratura vista da lontano non è inteso quale strumento per le scuole o per la formazione universitaria di base: bene, però - a differenza di quanto accade con Il romanzo di formazione - rimane dubbio il tipo di profano che qui si vuole iniziare a una lettura più profonda - e organizzata su solide basi scientifiche - dell'opera letteraria. O, detta in altri termini, se è vero che "i testi sono oggetti reali, ma non sono gli oggetti di conoscenza giusti per la storia e la teoria letteraria" (p. 95), continua a sfuggirmi quale sia il gradino che porta dall'esperienza del lettore alla matura professionalità dell'esperto.
Come si contempla - e si organizza - la diversa dimestichezza con il fatto letterario?
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