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Oggi, poi, nel cominciare un libro che aspettava da tempo il mio incontro, l'autobiografia di Elias Canetti (a cui prima o poi seguirà quella della Yourcenar, ne sono - quasi - certo), mi sono lasciato andare impulsivamente a uno status su Facebook che certo lascia il tempo che trova, ma mi rivela molto di me: Amo Elias Canetti e tutta la letteratura consapevolmente mitteleuropea... (ma non è forse la letteratura europea più consapevole - in modo addirittura barocco - della sua tradizione?). Nessuno mi convincerà mai del fatto che sbagliando s'impara: è nella consapevolezza delle proprie azioni - e dunque dei propri errori - che c'è una possibilità di riscatto (altrimenti l'errore diventa solo un alibi). Ecco, anche senza costringermi a una penosa autoanalisi, credo che io da tempo cercassi libri in cui ci fosse una precisa consapevolezza della tradizione di appartenenza. Per questo chiedevo, prima, suggerimenti su autori e titoli indiani e irlandesi: hanno mood, chiamiamolo così, diversi, ma entrambi a me congeniali e in entrambi risconosco i confini ricercati nel panorama letterario.
Eppure, tra Zweig, Werfel e pochi altri mi sento a casa: nella loro erratica ricerca, anzi nel loro erratico scavo di una tradizione a cui riferirsi e nella quale innestarsi, se il caso con molto, moltissimo dolore. Anzi, solo nel loro randagismo di unghia affondate nel terreno di una casa che manca sempre, nella terra che manca sotto i piedi, riconosco la tradizione, riconosco un modo di fare letteratura che è consapevole dei propri confini, della propria natura letteraria. Cerco libri in cui il letterario sia una categoria della letteratura, libri nei quali scavare l'essenza codificata, i rimandi, la fuga da un centro, il centro che inseguo. Il nuovo libro come tentazione della letteratura e rimando continuo al mondo, alle cose, alla vita in me. Un nuovo libro, autoreferenziale, come fuga e poi ritorno in me.
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