Le 11 canzoni da leggere come poesie

Da Lundici @lundici_it

Scopriamo insieme a Matteo Chiavarone come vera poesia si possa trovare anche nei testi delle canzoni italiane.

Con l’aiuto di Matteo Chiavarone abbiamo iniziato a parlare di testi poetici. Così stiamo procedendo guardandoci intorno, per vedere come incontrare la poesia oggi, anche dove non si pensava di trovarla. Ho scoperto che può essere sotto gli occhi o entrarti nelle orecchie tutti i giorni, e magari non ci avevi mai pensato. Ecco allora le 11 canzoni che Matteo consiglia di leggere come fossero poesie. Avvicinarsi a questi testi senza pensare alla musica, ma solo alle parole, può sembrare un esercizio mentale non semplice. Ma la mente non c’entra nulla, anzi vedrete così, finalmente riusciremo trovare un ulteriore senso poetico a parole che abbiamo sempre pensato come fossero un tutt’uno con le note.

1 – “Incontro” di Francesco Guccini

E correndo mi incontrò lungo le scale, quasi nulla mi sembrò cambiato in lei,  la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due.

Il sole che calava già rosseggiava la città
già nostra e ora straniera e incredibile e fredda:
come un istante “dejà vu”, ombra della gioventù, ci circondava la nebbia…

Auto ferme ci guardavano in silenzio, vecchi muri proponevan nuovi eroi,
dieci anni da narrare l’uno all’altro, ma le frasi rimanevan dentro in noi:
“cosa fai ora? Ti ricordi? Eran belli i nostri tempi,
ti ho scritto è un anno, mi han detto che eri ancor via”.
E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia…

E le frasi, quasi fossimo due vecchi, rincorrevan solo il tempo dietro a noi,
per la prima volta vidi quegli specchi, capii i quadri, i soprammobili ed i suoi.
I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway,
il sentirsi nuovi, le cose sognate e ora viste:
la mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste…

Carte e vento volan via nella stazione, freddo e luci accesi forse per noi lì
ed infine, in breve, la sua situazione uguale quasi a tanti nostri film:
come in un libro scritto male, lui s’era ucciso per Natale,
ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio:
povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto…

E pensavo dondolato dal vagone “cara amica il tempo prende il tempo dà…
noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa…
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno… ”.

Degas Le Tub (la vasca)

2 – “Bene” di Francesco De Gregori

Bene, se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia, sono tuoi

ma è inutile cercarmi sotto il tavolo,

ormai non ci sto più

ho preso qualche treno, qualche nave,

qualche sogno, qualche tempo fa

Ricordi che giocavo coi tuoi occhi nella stanza, e ti chiamavo mia,

e inoltre la coperta all’uncinetto, c’era il soffio della tua pazzia
e allora la tua faccia vietnamita ricordava tutto quel che ho.

E adesso puoi richiuderti nel bagno a commentare le mie poesie
però stai attenta a tendermi la mano,
perché il braccio non lo voglio più
mia madre è sempre lì che si nasconde dietro i muri
e non si trova mai
e i fiori nella vasca sono tutto quel che resta e quel che manca,
tutto quel che hai
e puoi chiamarmi ancora amore mio

E qualche volta aspettami sul ponte, i miei amici sono tutti là
con lunghe sciarpe nere ed occhi chiari, hanno scelto la semplicità
se Luigi si sporge verso l’acqua sono solo fatti suoi

E ancora mille volte, mille anni, ci scommetto, mi ringrazierai

per quel sorriso ladro e per i giochi, i mille giochi che sapevi già
e ancora mi dirai che non vuoi essere cambiata, che ti piaci come sei

Però non mi confondere con niente e con nessuno, e vedrai…

niente e nessuno ti confonderà
soltanto l’innocenza nei miei occhi, c’è né già meno di ieri, ma che male c’è
le navi di Pierino erano carta di giornale, eppure vedi, sono andate via
magari dove tu volevi andare ed io non ti ho portato mai
e puoi chiamarmi ancora amore mio

Paul Klee "Schiffe im dunkeln" - Navi nel buio 1927

3 – “Stanco e perduto” di Vinicio Capossela

Stanco e perduto
ma ero allegro quando me ne andai di casa
e certe stelle splendevan forti
a far luci e ombre
sul mio cammino
perso e solitario
non riesco a ricordare
le tristi notti degli occhi
e le corse dietro alla luna
fuggite via

E le colline sembravan fantasmi neri
su un fondo blu
e le strade più misteriose d’adesso
facevan largo
alla nostra euforia
la notte passava in fretta
e non sarebbe più tornata
fuggita via
anche lei

E proprio l’altro giorno un vecchio amico
mi dice corri a casa
tutto e’ cambiato
tua sorella aspetta un figlio
e tuo padre
ha bisogno di te
subito a casa

E io che posso fare
stanco e perso su una strada
questioni di sfratto
faccende di soldi
ma non importa
prenderò il primo treno
e verrò là

E ora questa storia sembra un vecchio ritornello
una serenata
fatta a una luna traditrice
e mi trovo tutto solo qui a cantarla
tutti gli altri sono scappati via
poesie, folletti, pazzi
amori persi e diventati
nostalgia

Morte a Venezia edizione tedesca - Gustav e Tadzlo

4 – “La Bellezza (Gustav e Tadzlo)” di Roberto Vecchioni

Passa la bellezza nei tuoi occhi neri,
scende sui tuoi fianchi e sono sogni i tuoi pensieri…
Venezia “inverosimile più di ogni altra città
è un canto di sirene, l’ultima opportunità
ho la morte e la vita tra le mani coi miei trucchi da vecchio senza dignità:
se avessi vent’anni ti verrei a cercare, se ne avessi quaranta, ragazzo, ti potrei comprare,
a cinquanta, come invece ne ho ti sto solo a guardare …
Passa la bellezza nei tuoi occhi neri
e stravolge il canto della vita mia di ieri;
tutta la bellezza, l’allegria del pianto che mi fa tremare
quando tu mi passi accanto…
Venezia in questa luce del lido prima del tramonto
ha la forma del tuo corpo che mi ruba lo sfondo,
la tua leggerezza danzante come al centro del tempo e dell’eternità:
ho paura della fine non ho più voglia di un inizio;
ho paura che gli altri pensino a questo amore come a un vizio;
ho paura di non vederti più, di averla persa…
tutta la bellezza che mi fugge via e mi lascia in cambio i segni di una malattia.
Tutta la bellezza che non ho mai colto,
tutta la bellezza immaginata che c’era sul tuo volto,
tutta la bellezza se ne va in un canto,
questa tua bellezza che è la mia muore dentro un canto.

5 – “Don Giovanni” di Lucio Battisti

Non penso quindi tu sei
questo mi conquista
L’artista non sono io
sono il suo fumista
Son santo, mi illumino
ho tanto di stimmate
Segna e depenna Ben-Hur
sono Don Giovanni
rivesto quello che vuoi
son l’attaccapanni
Poi penso che t’amo
no anzi che strazio
Che ozio nella tournee
di mai più tornare
nell’intronata routine
del cantar leggero
l’amore sul serio
E scrivi
Che non esisto quaggiù
che sono
l’inganno
Sinceramente non tuo
(sinceramente non tuo)
Qui Don Giovanni ma tu
dimmi chi ti paga.

6 – “La sedia di lillà” di Alberto Fortis

Stava immobile nel letto con le gambe inesistenti
e una piaga sulla bocca che seccava il suo sorriso
mi parlava rassegnato con la lingua di chi spera
di chi sa che e’ prenotato sulla Sedia di lillà
Ogni volta che rideva si stracciavano le labbra
e il sapore che ne usciva era di stagione amara
le sue rughe di cemento lo solcavano di rosso
prontamente diluito da una goccia molto chiara
“penso troppo al mio futuro” mi diceva delirando
“penso troppo al mio futuro, penso troppo e vivo male
penso che fra pii di un anno cambieranno i miei progetti
penso che fra pii di un anno avrò nuove verità
tu non farmi questo errore vivi sempre nel momento
cogli il giorno e tanto amore cogli i fiori di lillà”
“Quanti amici hanno tradito” continuava innervosito
“quanti amici hanno tradito per la causa dell’Amore”
sono andato a casa sua sono andato con i fiori
mi hanno detto che era uscito che era andato a passeggiare
ma vedevo un’ombra appesa la vedevo dondolare
l’ombra non voleva stare sulla sedia di lillà

De Andrè - Rimini

7 – “Rimini” di Fabrizio De Andrè

Teresa ha gli occhi secchi
guarda verso il mare
per lei figlia di pirati
penso che sia normale

Teresa parla poco
ha labbra screpolate
mi indica un amore perso
a Rimini d’estate.

Lei dice bruciato in piazza
dalla santa inquisizione
forse perduto a Cuba
nella rivoluzione
o nel porto di New York

nella caccia alle streghe
oppure in nessun posto
ma nessuno le crede.

Coro: Rimini, Rimini

E Colombo la chiama
dalla sua portantina
lei gli toglie le manette ai polsi
gli rimbocca le lenzuola

“Per un triste Re Cattolico – le dice -
ho inventato un regno
e lui lo ha macellato
su di una croce di legno.

E due errori ho commesso
due errori di saggezza
abortire l’America
e poi guardarla con dolcezza

ma voi che siete uomini
sotto il vento e le vele
non regalate terre promesse
a chi non le mantiene “.

Coro: Rimini, Rimini

Ora Teresa è all’Harrys’ Bar
guarda verso il mare
per lei figlia di droghieri
penso che sia normale

porta una lametta al collo
è vecchia di cent’anni
di lei ho saputo poco
ma sembra non inganni.

“E un errore ho commesso – dice -
un errore di saggezza
abortire il figlio del bagnino
e poi guardarlo con dolcezza

ma voi che siete a Rimini
tra i gelati e le bandiere
non fate più scommesse
sulla figlia del droghiere”.

Lugano Addio

8 – “Lugano addio” di Ivan Graziani

Po, po, po… Le scarpe da tennis bianche e blu, seni pesanti e labbra rosse e la giacca a vento.

Oh! Marta io ti ricordo così il tuo sorriso e i tuoi capelli, fermi come il lago.

“Lugano addio” cantavi, mentre la mano mi tenevi “Canta con me” tu mi dicevi ed io cantavo di un posto che non avevo visto mai.

Tu, tu mi parlavi di frontiere di finanzieri e contrabbando mi scaldavo ai tuoi racconti

“E mio padre sì” tu mi dicevi “quassù in montagna ha combattuto” Poi del mio mi domandavi.

Ed io pensavo a casa mio padre fermo sulla spiaggia, le reti al sole i pescherecci in alto mare, conchiglie e stelle le bestemmie e il suo dolore.

Oh, Marta io ti ricordo così il tuo sorriso e tuoi capelli, fermi come il lago. Po, po, po…

“Lugano addio cantavi” mentre la mano mi tenevi “addio” cantavi e non per falsa ingenuità tu ci credevi e adesso anch’io che sono qua. Oh, Marta mia addio, ti ricordo così il tuo sorriso e tuoi capelli, fermi come il lago. Po, po, po…

Sgalambro e Battiato

9 – “Mesopotamia” di Franco Battiato

Lo sai che più si invecchia
più affiorano ricordi lontanissimi
come se fosse ieri
mi vedo a volte in braccio a mia madre
e sento ancora i teneri commenti di mio padre
i pranzi, le domeniche dai nonni
le voglie e le esplosioni irrazionali
i primi passi, gioie e dispiaceri.
La prima goccia bianca che spavento
e che piacere strano
e un innamoramento senza senso
per legge naturale a quell’età
i primi accordi su di un organo da chiesa in sacrestia
ed un dogmatico rispetto
verso le istituzioni.
Che cosa resterà di me? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?
Mi piacciono le scelte radicali
la morte consapevole che si autoimpose Socrate
e la scomparsa misteriosa e unica di Majorana
la vita cinica ed interessante di Landolfi
opposto ma vicino a un monaco birmano
o la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli.
Anch’io a guardarmi bene vivo da millenni
e vengo dritto dalla civiltà più alta dei Sumeri
dall’arte cuneiforme degli Scribi
e dormo spesso dentro un sacco a pelo
perché non voglio perdere i contatti con la terra.
La valle tra i due fiumi della Mesopotamia
che vide alle sue rive Isacco di Ninive.
Che cosa resterà di noi? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che abbiamo in questa vita?

Karnak

10 -  “Il battito” di Ivano Fossati

Dateci parole poco chiare
quelle che gli italiani non amano capire…

Basta romanzi d’amore, ritornelli
spiegazioni, interpretazioni facili…

Ma teorie complesse e oscure, lingue lontane servono…

Pochi significati, titoli, ideogrammi, insegne, inglese, americano slang.

Senza studiare senza fiatare basta intuire che è anche troppo…

Colpo d’occhio è quello che ci vuole uno sguardo rapido

Il nostro suono, il nostro suono è un battito…

Parole incomprensibili siano le benvenute così affascinanti
così consolanti… Non è nemmeno umiliante non capirle anzi così riposante

Dopo tanto teatro dopo tante guerre
dopo tanti libri dopo tanto cammino
dopo tante bugie dopo tanto amore
dopo tanti secoli

Mai più canzoni in italiano greco slavo
poca letteratura, brevi racconti al massimo, scrittori intraducibili, relazioni elementari, poeti ermetici…

Tv irreversibile, con accenti diversi con accenti diversi…
Esotici.

Ora davvero basta con la trasparenza voglio una cultura davvero sottostante davvero inapparente e soprattutto per sempre…

Voglio essere ricordato nella prossima era
come un glaciale geroglifico
come un bassorilievo
come un graffito inesplicabile perché del tutto inutile….

Dateci le parole poco chiare quelle che gli italiani non amano capire,
costruiremo una nuova cultura rapida ed estetica

E il pensiero sarà un colore, il colore sarà un suono, il nostro suono un battito…

E il pensiero sarà un minuto, il minuto un suono, il nostro suono un battito…

11 – “Chiedo scusa se parlo di Maria” di Giorgio Gaber

Chiedo scusa se parlo di Maria
non del senso di un discorso, quello che mi viene
non vorrei si trattasse di una cosa mia
e nemmeno di un amore, non conviene.

Quando dico “parlare di Maria”
voglio dire di una cosa che conosco bene
certamente non è un tema appassionante
in un mondo così pieno di tensione
certamente siam vicini alla pazzia
ma è più giusto che io parli di

Maria la libertà
Maria la rivoluzione
Maria il Vietnam, la Cambogia
Maria la realtà.

Non è facile parlare di Maria
ci son troppe cose che sembrano più importanti
mi interesso di politica e sociologia
per trovare gli strumenti e andare avanti
mi interesso di qualsiasi ideologia
ma mi è difficile parlare di

Maria la libertà
Maria la rivoluzione
Maria il Vietnam, la Cambogia
Maria la realtà.

Se sapessi parlare di Maria
se sapessi davvero capire la sua esistenza
avrei capito esattamente la realtà
la paura, la tensione, la violenza
avrei capito il capitale, la borghesia
ma la mia rabbia è che non so parlare di

Maria la libertà
Maria la rivoluzione
Maria il Vietnam, la Cambogia
Maria la realtà.

Maria la libertà
Maria la rivoluzione
Maria il Vietnam, la Cambogia
Maria la realtà
Maria la realtà
Maria la realtà.


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