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Le “acque bollenti” di Colombia e Nicaragua: la disputa dell’Arcipelago di San Andrés.

Creato il 07 novembre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Le “acque bollenti” di Colombia e Nicaragua: la disputa dell’Arcipelago di San Andrés.

Gli ultimi nove mesi hanno visto crescere le tensioni che da anni attanagliano le relazioni politiche, diplomatiche ed economiche di Colombia e Nicaragua. Motivo della crisi tra i due paesi centroamericani è sempre la solita questione della disputa territoriale e marittima che riguarda l’arcipelago di San Adrés, Providencia e Catalina, cinquanta mila chilometri quadrati di Mar dei Caraibi e alcuni isolotti dalla bellezza paradisiaca, la cui unica sfortuna è quella di trovarsi a pochi chilometri dalle coste dei due paesi.
La disputa tra Colombia e Nicaragua risale già ai primi anni del novecento, con la fine dell’impero coloniale spagnolo, ma solo nel 1928 si riuscì a trovare una soluzione che pose fine, almeno per un breve periodo, alle discordie tra i due paesi. La firma del Trattato Esguerra-Barcenas (dal nome dei Ministri degli Esteri colombiano e nicaraguense), avvenuta il 24 marzo 1928, sanciva il riconoscimento della sovranità colombiana sull’Arcipelago di San Andrés e su tutti gli isolotti circostanti, come cita l’articolo 1 del Trattato:

“La República de Nicaragua reconoce la soberanía y pleno dominio de la República de Colombia sobre las islas de San Andrés, Providencia, Santa Catalina y todas las demás islas, islotes y cayos que hacen parte de dicho archipiélago de San Andrés”1.

In realtà, la vaghezza del primo articolo e, in particolare, dell’espressione:

… y todas las demás islas, islotes y cayos que hacen parte de dicho archipiélago de San Andrés

lasciò ai due paesi diverse interpretazioni circa la composizione dell’Arcipelago, cosicché per molto tempo al centro della disputa rimasero alcuni isolotti che ognuno dei due paesi rivendicava per se come Serrana, Roncador, Quitasueño, Serranilla y Bajo Nuevo in realtà da tempo nelle mire degli Stati Uniti.

La ratifica del Trattato si celebrò il 5 maggio 1930 a Managua e nel Protocollo ad esso annesso i due paesi centroamericani s’impegnavano a stabilire che la questione pendente dell’Arcipelago di San Andrés era da considerarsi risolta e che l’ottantaduesimo meridiano veniva scelto come frontiera marittima tra i due paesi.
In realtà, il tentativo di accordo non sembrava aver sanato una disputa che si prospettava sempre più grande e, ancora per molti anni a venire, l’arcipelago della discordia sarebbe stato motivo di tensione tra i due paesi.

Nel febbraio del 1980, la Giunta di ricostruzione nazionale guidata dal neo Presidente sandinista Daniel Ortega annunciò che il Nicaragua considerava nullo il Trattato Esguerra-Barcenas poiché si trattava di un Trattato concluso in un’epoca in cui il Nicaragua era occupato dagli Stati Uniti e quindi non esprimente la reale volontà del paese. Inevitabilmente la querelle finì nel 2001 davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, considerata l’unica in grado di dirimere la controversia.

Per undici anni, infatti, avvocati ed esperti nicaraguensi hanno sostenuto e avallato la tesi per cui 50 mila chilometri quadrati di mare non appartenevano alla Colombia bensì alla sovranità di Managua, compreso l’Arcipelago di San Andrés, Santa Catalina e Providencia collocate a 482 miglia marine dalla costa colombiana e a sole 140 da quella nicaraguense.

Nella sua richiesta di ricorso presentata alla più alta Corte istituita dalle Nazioni Unite il 6 dicembre 2001, il governo del Nicaragua chiedeva di esaminare il caso dell’Arcipelago di San Andrés e delle isole circostanti e dimostrare l’appropriazione indebita da parte di Bogotà sulle isole in questione2. Nel ricorso il governo nicaraguense ripercorre una sorta di excursus storico dell’Arcipelago e sostiene che dopo la dissoluzione della Federazione degli Stati dell’America centrale, venutasi a creare in seguito alla fine dell’impero coloniale spagnolo, le varie isole della “discordia” passarono sotto la sovranità della Repubblica del Nicaragua e proprio in virtù di ciò il Trattato del 1928 Barcenas-Esguerra era da considerarsi nullo. Tuttavia va specificato che il ricorso nicaraguense alla Corte non riguardava solo la questione della sovranità delle isole da sempre contese con la Colombia, ma anche un altro aspetto molto importante, ossia la questione degli spazi marini e della delimitazione delle aree di zona esclusiva economica.

Dal 1945, il diritto internazionale ha riconosciuto che la sovranità degli Stati costieri si estende fino alla “zona economica esclusiva”, ossia fino a duecento miglia marine dalla costa, riconoscendo inoltre agli Stati in questione anche i relativi diritti di esplorazione e sfruttamento delle risorse naturali presenti nella piattaforma continentale. Queste disposizioni furono in seguito riconosciute e confermate dalla successiva Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay del 1982. A ciò si deve aggiungere che anche la Costituzione della Repubblica del Nicaragua afferma che il territorio nazionale comprende le piattaforme continentali che si trovano sia nell’oceano Atlantico che nel Pacifico e pertanto è un diritto dello Stato nicaraguense quello di poter sfruttare le risorse naturali e petrolifere presenti nella propria piattaforma continentale.

Ciò che il governo di Managua contesta a quello di Bogotà e alla decisione del Trattato del 1928 è, di fatto, la privazione di una porzione grandissima di spazi marini, infatti la Colombia avrebbe ottenuto da questo Trattato oltre cinquanta mila chilometri quadrati di spazi marini sottratti alla sovranità del Nicaragua3. A peggiorare la situazione agli occhi del governo di Managua ci si mette il fatto che la Colombia può far valere le proprie posizioni potendo contare su una flotta marina di gran lunga più forte di quella nicaraguense, non a caso è più volte capitato che dei pescherecci nicaraguensi siano stati catturati dalle motovedette colombiane ben oltre il confine dell’82esimo meridiano, come è avvenuto il 10 febbraio 1999 e il 27 ottobre 2001, episodi che portarono Daniel Ortega a tacciare di “imperialismo” lo stato colombiano.
Una situazione, questa, particolarmente difficile soprattutto per le popolazioni che vivono in prossimità della costa che hanno sempre vissuto di pesca e che negli ultimi periodi sono spesso vittime di azioni intimidatorie da parte della marina colombiana e destinate all’impoverimento.

Il ricorso del governo del Nicaragua alla Corte Internazionale di Giustizia aveva, dunque, lo scopo di ottenere un formale riconoscimento della sovranità nicaraguense sulle isole di San Andrés, Santa Catalina, Providencia, Roncador, Serrana, Serranilla e Quitasueno e una precisa delimitazione del confine marittimo esistente tra le aree della zona economica esclusiva e quella della piattaforma continentale rispettivamente di Colombia e Nicaragua. Con questo ricorso, inoltre, Managua sperava di poter far valere il proprio diritto a richiedere alla Colombia una giusta riparazione in seguito all’ingiusto arricchimento e all’appropriazione indebita di territori e spazi marini sottratti alla sovranità del Nicaragua.

Bisognò attendere sei anni prima che la Corte rilasciò il proprio parere. Il 13 dicembre del 2007, l’organo giudiziario principale delle Nazioni Unite fece sapere che, nonostante le obbiezioni del Nicaragua, il Trattato del 1928 è da considerarsi legittimo poiché risolve la questione della sovranità delle isole di San Andrés, Santa Catalina e Providencia a favore della Colombia mentre le isole Corn erano sotto la sovranità nicaraguense. La Corte, inoltre, fece sapere che il Trattato del 1928 non risolveva la questione della delimitazione marittima tra le parti e si riconosceva competente a trattare il tema e trovare una soluzione alla disputa4. In sostanza la Corte riconosceva la sovranità colombiana sulle isole maggiori ma non si pronunciava sul tema spinoso dello spazio marino e sulle isole minori. Dopo aver ricevuto questo primo parziale verdetto, Managua non si scoraggiò e decise di avanzare un secondo riesame del caso sempre davanti ai giudici della Corte Internazionale. Questo secondo tentativo nicaraguense sembrò non impensierire il governo colombiano che trattò la controversia con sufficienza, forte di una sovranità confermata dal primo verdetto e da un’amministrazione decennale dell’Arcipelago di San Andrés: i colombiani avevano costruito strade, ponti, scuole, ospedali e numerosissimi complessi turistici che fruttano al paese milioni di dollari ogni anno.

Il secondo verdetto arrivò dopo altri sei anni, più precisamente il 12 novembre del 2012 e ad una prima lettura ancora una volta sembrò essere favorevole alla Colombia che vide riconosciuta la propria sovranità sulle isole maggiori e anche su quelle minori (Albuquerque, Bajo Nuevo, Capo Sud Est, Quitasueno, Roncador, Serrana e Serranilla). In realtà chi ne usciva realmente avvantaggiato era il Nicaragua di Ortega che ottenne un formale riconoscimento di una zona economica esclusiva nicaraguense fino a 200 miglia nautiche (370 chilometri) dalla costa5. Questo significa un trasferimento di circa 75 mila chilometri quadrati di mare precedentemente controllato da Bogotà e ora nelle mani di Managua. Una sentenza impugnabile difficile da mandare giù per l’amministrazione Santos.

A ciò si aggiunga che lo spazio marino che la Corte ha riconosciuto al Nicaragua è particolarmente ricco di gas naturale e risorse petrolifere, la cui esistenza ha infiammato i toni e ha reso ancora più ostili le relazioni tra i due paesi. A conferma del clima pesante, il capo dell’esercito nicaraguense Julio Cesar Avilés, affermò qualche settimana dopo la lettura della sentenza che:

il Nicaragua dovrà dotarsi di nuovo materiale bellico al fine di controllare e difendere la propria sovranità su queste acque6.

Mentre Ortega festeggiava la decisione dichiarando che avrebbe inviato immediatamente le prime navi della marina nelle acque appena ottenute, il Presidente Santos dichiarò che non avrebbe ritirato le sue, aggravando la situazione notevolmente7.

I più colpiti dalla sentenza furono soprattutto i pescatori delle varie isole dell’Arcipelago che abitualmente pescavano nella porzione di mare che ora è passata al controllo nicaraguense insieme al carico di aragoste che rappresentava circa l’80% del pescato colombiano. Il pesce più pregiato, quello esportato all’estero e offerto ai turisti dei numerosi resort non è più una risorsa colombiana. Una beffa a cui se ne somma un’altra: perdendo una considerevole porzione di mare, la Colombia perde altrettanto spazio aereo, circa il 40%, al di sopra del Mar dei Caraibi.

La risposta della Colombia a questa dèbacle fu la decisione del Presidente Santos di ritirare il suo paese dal Patto di Bogotà, il famoso Trattato firmato proprio nella capitale colombiana nel 1948 e che stabiliva che tutti i paesi dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ricorressero ad un regolamento pacifico delle controversie regionali attraverso la Corte Internazionale di Giustizia8.

Il 28 novembre del 2012, il Presidente Santos ha affermato che il suo paese non riconoscerà più la giurisdizione dell’Aia e che:

i confini di nessuna nazione possono essere decisi da una sentenza giudiziaria ma dovranno essere concordati in un nuovo trattato tra i due paesi direttamente interessati9.

Santos, deluso ma agguerrito, ha continuato pochi giorni fa dicendo che:

i colombiani sono ancora indignati dalla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che pretende dare al Nicaragua una parte significativa dei nostri diritti storici ed economici nei Caraibi. Sottoscriveremo una lettera di protesta che verrà firmata anche dai nostri paesi vicini di Jamaica, Costa Rica e Panama e che io personalmente presenterò al Segretario Generale delle Nazioni Unite10

A queste dichiarazioni del 10 settembre scorso, il Presidente Ortega ha risposto che esige un comportamento diverso dall’amministrazione Santos e inconfutabili segni di rispetto nei riguardi della sentenza dell’Aia:

le sentenze della Corte sono obbligatorie. Discutere tali sentenze sarebbe oltraggioso per la Corte stessa. È come se decidessimo di non rispettare la sentenza perché non abbiamo ricevuto tutti le isole che compongono l’Arcipelago di San Andrés.

In seguito a queste dichiarazioni e alla replica agguerrita del suo omologo, il Presidente nicaraguense ha anche aggiunto:

Il Nicaragua non ha alcuna mira espansionistica oltre a ciò che la sentenza della Corte gli ha visto riconosciuto, ci auspichiamo la pace e la stabilità nei Caraibi e per far ciò è necessario che Santos e la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia rispettino quanto stabilito, senza altre pressioni11.

Forte delle risultato ottenuto, Ortega ha dato il via alle operazioni di estrazione di petrolio che sono cominciate nel mese di agosto e che già hanno suscitato aspre critiche provenienti non solo dal governo colombiano ma anche da molti attivisti che ritengono che tale invasività vada a deturpare una delle barriere coralline più belle al mondo, il reef di Old Providence. La portavoce del governo Rosario Murillo ha fatto sapere che la Noble Energy si occuperà di avviare le procedure di estrazione a circa 104 chilometri dalla costa nicaraguense12.

È chiaro che laddove queste estrazioni di gas naturali e petrolio risultino essere massicce e oltremodo proficue, le tensioni tra Colombia e Nicaragua saranno destinate a peggiorare drasticamente. Perdere l’oro nero in una porzione di mare che fino ad un anno fa era di proprietà colombiana è una disfatta talmente grave che rischia di travolgere lo stesso Presidente Santos il cui sostegno popolare sta venendo pericolosamente meno.


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