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Le Ali della Libertà (1994)

Creato il 22 aprile 2011 da Elgraeco @HellGraeco
Le Ali della Libertà (1994)

Probabilmente la storia la conoscete. È un film famoso. Per me è un capolavoro.
E badate, ho usato questa parola solo un’altra volta qui sul blog. E poi si scopre che è tratto da un racconto breve (Rita Hayworth and Shawshank Redemption) di Stephen King, proprio lui, il Re delle Fascette, che, perseguendo un intento nobile o una mera convinzione, si permetteva di vendere i diritti per la trasposizione cinematografica delle sue opere ai registi esordienti, per un solo dollaro. Da ammirare, credo. Al di là delle facili polemiche.
Un solo dollaro dovette sborsare Frank Darabont, per ottenere il permesso di girare Le Ali della Libertà (The Shawshank Redemption). Era un amico.
Mezzo flop al cinema, conobbe meritatissimo successo nel mercato dell’home-video.
Non si tratta di cifre, ma di messaggi. Quelli trasmessi da quest’opera che, da dramma carcerario, si permette di elevarsi a sogno, a epica della libertà. Anelito e speranza. Perché forse, e dico forse, avrebbe potuto essere migliore sul piano tecnico. Ma rimane ineguagliabile nella musica, nel desiderio, nell’amicizia ivi rappresentata, nell’inarrendevolezza dei suoi protagonisti, giocato com’è sul tempo e sulla memoria, concetti che scorrono, appassiscono e rendono indistinguibili le vecchie colpe, per restituire dignità e sogni.

Le Ali della Libertà (1994)

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Shawshank

Non serve l’horror per suscitare emozioni perturbanti, basta la panoramica iniziale su Shawshank, il carcere che è insieme prigione e casa per i detenuti. Trattasi del vecchio Riformatorio di Stato di Mansfield, in Ohio, abbandonato da tempo e ristrutturato, negli esterni, per fungere da set immaginifico. Gli interni vennero invece ricostruiti in studio.
Nella prigione tutti i detenuti sono innocenti perché tutti, sebbene colpevoli, vogliono annullarsi, impedire al tempo infinito di logorarli nel fisico e nella mente, dimenticare ciò che è stato. Lasciarsi vivere senza pensare, senza riflettere. Eppure, trascorrono gli anni, i decenni e loro, gli ospiti, invecchiano, al pari dei loro carcerieri, in uno strano rapporto duale, di dipendenza reciproca, morbosa.
Tra i detenuti ci sono Ellis Boyd Redding (Morgan Freeman), detto Red, e Andy Dufresne (Tim Robbins), entrambi condannati all’ergastolo per aver ucciso.
Red rimane dentro perché le sue udienze decennali di rilascio sulla parola si tramutano in farsa; costretto a recitare il ruolo di uomo redento, pronto a rientrare in società,  a tornare produttivo, idea che egli non comprende neppure, dopo trent’anni di galera. Andy di ergastoli da scontare ne ha due, uno di seguito all’altro; condannato per aver ucciso la moglie, insieme all’amante.

Le Ali della Libertà (1994)

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La Gabbia

La vita carceraria trascorre lenta, uguale a sé stessa, ogni giorno; ore in cui la differenza la fanno le scommesse, quelle atroci su chi, tra i nuovi arrivati, subisca un crollo nervoso e si metta a piangere durante la prima, durissima notte tra pareti scure di pietre senza anima; oppure la visione nella sala relax di capolavori del cinema, Gilda (1946) con Rita Hayworth seguita, col passare dei decenni, dalle nuove icone sexy del momento, dal bianco e nero al colore.
Ed è possibile dedicarsi a piccoli hobby, lucidare pietre, giocare a dama, tentare di trovare la forza per suonare la fisarmonica, in un luogo da cui neppure la fantasia riesce a evadere; o a missioni più grandi, quali creare biblioteche, riuscire a farsi una cultura, ottenendo un titolo di studio, tra secondini che ti riducono la testa a una polpetta a colpi di manganello se, per caso, si ha l’ardire di guardarli dritto negli occhi. E dove un direttore, dietro lo schermo della fede e della rettitudine, si adopera in ogni genere di abusi e di soprusi ai danni dei carcerati.
Difficile dire cosa quest’affresco maestoso riesca a suscitare, nelle sue piccole tenerezze, quali quella del vecchio Brooks, il bibliotecario, che alleva un piccolo corvo caduto dal nido nella sua giacchetta e che, nel frattempo, entrato in carcere da che era un ragazzo e le automobili quasi non esistevano, ne esce un vecchio stanco che mal si adatta alla libertà e che mira, soltanto, a ritornare in gabbia perché si sente perduto.

Le Ali della Libertà (1994)

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La Libertà

Grandiosi tutti gli attori, Freeman e Robbins, ma soprattutto i cattivi Bob Gunton (il direttore Norton) e Clancy Brown (il Capitano Hadley, lo spietato carceriere e aguzzino di Shawshank); e una sceneggiatura che accetta la colpevolezza dei protagonisti, vera o presunta e la trasforma, sublimandola, in rispetto.
Red è colpevole, lo è stato quando aveva meno di vent’anni. Un ragazzo sciocco e violento, ingenuo, macchiatosi di un crimine che neppure dopo tanti anni riesce a comprendere.
Andy forse è innocente, forse è l’unico vero innocente di Shawshank, punito dai rovesci della fortuna e l’unico che, ancora, non ha smesso di sognare, di sperare.
Impossibile non restare contagiati dalla capacità di Darabont di nobilitare la redenzione, fatto catartico che libera e dona nuova consapevolezza.
Perché la libertà, infine, non è solo un titolo, ma è l’essenza stessa della vita. Anche quando quest’ultima viene negata e intrappolata, si riesce a respirare libertà attraverso un brano de Le Nozze di Figaro sputato dagli altoparlanti sul grigio cortile dove trascorre l’ora d’aria, tra sigarette vendute e scambiate per scommessa e piccole meschinità.

Le Ali della Libertà (1994)

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Senza Memoria

Poco altro da aggiungere per questo film che tutti dovrebbero vedere. Le Ali della Libertà è un dramma carcerario atipico. Dove il sistema e i suoi ingranaggi non sono che impronte lasciate su personaggi immeritevoli che sono sempre stati solo e soltanto numeri e fascicoli, e nulla più. Il reinserimento in società non signifca un cazzo, nella realtà quotidiana di Red, fatta di piccole certezze, di richieste continue, di permessi domandati ai secondini, come quello di andare a pisciare, chiesto per quarant’anni. Per Andy, invece, proprio quel sistema diviene strumento di fuga e di vendetta per raggiungere un luogo, un villaggio messicano, Zihuatanejo, poco più di un porto, che affaccia sull’Oceano Pacifico, un posto caldo, senza memoria. Il luogo perfetto per la redenzione.

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