Arianna
di Carlo Lavagna
con Ondina Quadri, Massimo Popolizio, Valentina Carnelutti
Italia, 2015
genere, drammatico
durata, 84'
Nonostante le difficoltà che sta attraversando dal punto di
vista produttivo, il cinema italiano continua a dare segnali di vitalità. Prova
ne sia, all’ultimo festival di Venezia, la presenza di un gruppo di film che ha
portato alla ribalta i nomi di Antonio Messina (L’attesa),Alberto Caviglia (Pecore in erba),Lorenzo Berghella (Bangland), e appunto di Carlo Lavagna, il regista di
“Arianna”, che alla pari degli altri appena menzionatipartecipavano alla manifestazione con
la loro opera d’esordio. Al di là delle differenze rintracciabili all’interno
dei singoli titoli, ad emergerein
linea generale è il desiderio di porsi in alternativa alla dilagante voglia di
omologazione, che caratterizza il panorama cinematografico nostrano. Una
diversità che “Arianna” iscrive di diritto nel proprio Dna, attraverso la vicenda della giovane protagonista,
adolescente introversa e inquieta che, nell’arco dell’estate trascorsa a
contatto con un ristretta cerchia di coetaneie immersa nella natura incontaminata che circonda la villa
di famiglia, è costretta, un poco alla volta, a fronteggiare le conseguenze di
un segreto che troverà risposta nella particolarità fisiologica del proprio
corpo.
Partendo dall’anello mancante di una personalità altrimenti
incompleta, “Arianna” è il racconto di una presa di coscienza, dolorosa ma
necessaria, in cui l’acquisizione dei diversi tasselli che serviranno a
ricomporre il mosaico psicologico , della protagonista ma in sottordine anche
degli altri famigliari,sono il
risultato di un percorso narrativo che adottando la struttura di un thriller esistenziale, procede più per accumulazioni visive
che verbali, producendo immagini, a volte svianti,sul tipo
di quelle dal sapore bucolico che, contraddicendo la
drammaturgia della storia, improntata a un soffuso senso di precarietà,
inducono a sentimenti di spensieratezza e di divertimento; a volte
evocative del futuro della protagonista; anticipato dal primo piano del
volto
incorniciato da acque dalla consistenza amniotica, a sottolineare la
metamorfosi in atto; in certi casi persino ardite, nella
rappresentazione di
una sessualità che non solo non rinuncia alle nudità dei corpi ma che
nel caso
di Arianna, la mostra con un occhio che sembra acuire il mistero di cui
la sua carne
si fa portatrice. Qualità estetiche e figurative che, sulla scia del
successo
di registi come Matteo Garrone e Paolo Sorrentino, sono diventate tratto
comune a una fetta sempre più numerosa del cinema italiano; e che però, a
differenza di altre volte, nel film di Lavagna riescono a fare a meno
del proprio decor, per dare linfa agli aspetti
emozionali di una vicenda che, seppur collocata in un contesto anche
poetico, risulta nelle sue conclusioni tutt'altro che
idilliaca; come testimoniano le parole di Arianna che, nel commentare a
posteriori il suo percorso di rinascita non omette le difficoltà della
consapevolezza acuisite al termine del suo viaggio esistenziale. Senza
dimenticare
che
“Arianna” affrontando tra gli altri temi, quello relativo alle nuove
(per modo
di dire) forme di identità sessuale – come già aveva fatto Laura Bisturi
in
“Vergine giurata” - mette in circolo un’idea di comprensione e di
tolleranza
che davvero sono un invito a non aver paura di affermare le proprie
differenze; qualsiasi esse siano.