di Kent Jones Inghilterra, Francia, Giappone Documentario, 2015 durata, 80'
Prima di
essere il regista de “I 400 colpi” e di “Effetto notte” Francois Truffaut fu
innanzitutto un cinefilo appassionato e colto, autore di revisioni critiche in
grado di ridisegnare il senso stesso della visione cinematografica ma anche
capace di parteggiare per un film al punto di togliere il saluto ad amici e
colleghi che non la pensavano allo stesso modo. Una predisposizione che
continuò ad appartenergli anche dopo il successo dei suoi film e che,
nonostante i sopravvenuti impegni, nel 1962, lo spinse, da profondo estimatore
del lavoro di Alfred Hithcock, a contattare il maestro inglese per organizzare
l’intervista in seguito confluita nelle pagine di in uno dei libri più belli e
importanti della storia del cinema, significamente intitolato “Il cinema
secondo Hitchcock”.
Il documentario di Kent Jones ritorna meritoriamente sulla fasi che portarono alla stesura dell'opera, seguendole nel loro svolgersi attraverso le parole dei due protagonisti, che Jones correda con un ampio repertorio fotografico e documentario, e attraverso una serie di interviste realizzate con alcuni dei più famosi cineasti contemporanei (David Fincher, Wes Anderson James Gray, Peter Bogdanovich, Arnaud Desplechin) che del maestro inglese sono grandi ammiratori. Se, per forza di cose, risulta impossibile condensare in meno di due ore l’abbondante resoconto di una chiacchierata andata avanti per diversi giorni, il film di Jones ha dalla sua il fatto di riuscire a suscitare l’interesse delle spettatore che difficilmente rimarrà insensibile allasemplicità con cui i due interlocutori riescono a rendere comprensibili teorie e questioni normalmente complicate se non addirittura noiose per i non addetti ai lavori, e che invece, nel caso di "Hitchcock/Truffaut", arrivano alla platea con una perspicacia e un senso dello spettacolo che le trasformano in aneddoti curiosi e divertenti. In questo modo, accanto ai dettagli che ricostruiscono alcune delle sequenze più famose della storia del cinema (tra le altre quella della doccia in “Psycho” e numerosi inserti tratti da “La donna che visse due volte”) e alle considerazioni che rivelano la scarsa considerazione di Hitchcock nei confronti degli attori, a farsi largo sono elementi apparentemente insignificanti, e invece rivelatori della sua personalità; come, per esempio, il controllo maniacale dello spazio circostante, esercitato finanche sul set fotografico che fu organizzato per immortalare l’eccezionalità dell’evento, durante la cui realizzazione il regista ebbe modo di suggerire pose e tempistica degli scatti.
Oppure, constatare la ritrosia
dell’intervistato nel mostrar aspetti del proprio privato, anche in questa
occasione gelosamente custoditi dalla neutralità offerta dagli studi
cinematografici, appositamente scelti per ospitare il colloquio. Una
circospezione che comunque non ostacolò la nascita di un’amicizia che Hitchcock
e Truffaut alimentarono attraverso il fitto scambio epistolare che
contraddistinse il loro rapporto. E se, dopo tutto quello che abbiamo visto e
sentito capitasse di avere ancora qualche dubbio a proposito dell’influenza che
l’intervista ebbe sulle vite di chi ne fu coinvolto, ad aiutarci sono le parole
che concludono il film che ci ricordano di come Truffaut, giunto al termine
della malattia che lo portò alla morte spese gli ultimi giorni a sistemare la
nuova edizione del suo libro. Un immagine che ci fa stringere il cuore e che
rende ancora più necessario il documentario di Kent Jones.
