Perfetti sconosciuti
di Paolo Genovese
con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alba Rohrwacher, Edoardo Leo, Kasia Smutniak
Italia, 2016
genere, commedia
durata, 97'
Il gruppo di famiglia in un interno è uno scenario che il
cinema italiano conosce molto bene per averne fatto uno dei luoghi principe di
quella commedia italiana che a partire dagli anni ottanta ha trovato nella
dinamiche interpersonali, considerate nell’unità di spazio e di tempo
circoscritte dal perimetro delle mura famigliari, uno dei modi per descrivere
il vuoto di valori derivato dal crollo delle utopie sessantottine e dal terrorismo dei cosiddetti anni di piombo. Seppure con le derive che hanno spinto la
critica a valutare in maniera negativa la maggior parte di quella filmografia, è
anche vero che l’insistenza verso le vicende di personaggi ripiegati su se
stessi e avulsi dal contesto sociale, almeno inizialmente, era dettata dallo
smarrimento intellettuale ed emotivo seguito agli sconvolgimenti del periodo in
questione.
Da qui il pregiudizio iniziale nei confronti di un film come
“Perfetti sconosciuti” che, alla pari di altri passati nelle sale (“In nome del
figlio” e “Dobbiamo parlare”) si presentava come l’ennesima storia di amicizie
destinate a deflagrare durante la consumazione del desco serale. A differenza
dei colleghi e pure di se stesso ( “Una famiglia perfetta” uscito nel 2012 non
si discosta dai riferimenti appena citati) Paolo Genovese costruisce il film
su un’espediente capace di dare forza all’attualità dell’assunto, poichè la
decisione dei commensali di condividere gli sms e telefonate ricevuti nel corso dell’incontro soddisfa e la necessità
di agganciarsi al cosiddetto spirito del tempo, rappresentato dall’invadenza
del mezzo tecnologico sull’esistenza delle persone e in particolare su quelle
dei protagonisti, messe in forse dalla possibilità di essere connesso con il
resto dell’ecumene, e al bisogno che ha il cinema di dare voce ai recessi
dell’anima evitando di diventare letteratura o ancora peggio didascalico.
Nel
caso di “Perfetti sconosciuti” ci
riesce grazie a una scrittura in grado di rendere credibile il succedersi delle
emozioni che trasformano l’allegria in tragedia, e in virtù di dialoghi capaci di
dare vita a una terapia collettiva di cui lo spettatore finisce per sentirsi
parte in causa, omologato come i personaggi alla dittatura del progresso e alla
pari di loro depositario del doppio fondo esistenziale che impedisce di sentirsi
estraneo a quello che succede sullo schermo. Se a ciò aggiungiamo la sorpresa
conclusiva che produce un finta catarsi, rendendo l’epilogo solo in apparenza meno
amaro, possiamo dunque affermare che per la commedia italiana esiste ancora
qualche possibilità. Senza contare che, se il talento degli attori ingaggiati era cosa appurata, non lo era altrettanto la predisposizione a fare da spalla
al protagonismo degli altri colleghi.
Anche su questo versante
“Perfetti sconosciuti” fa registrare un segno positivo.