Rock the Kasbah
di Barry Levinson
con Bill Murray, Kate Hudson, Bruce Willis, Zooey Deschanel
Usa, 2015
genere, commedia
durata, 116'
Parafrasando il titolo di una delle canzoni simbolo del punk inglese, portata al successo dai Clash del compianto Joe
Strummer, il nuovo film di Barry Levinson non può sottrarsi dalle
responsabilità artistiche conseguenti alla scelta di quella citazione. Perché
ricollegandosi allo spartito musicale di Strummer e soci e ricordando la
dirompente irriverenza delle loro esibizioni, facciamo fatica a ragionare su
“Rock the Kasbah” senza tenere conto delle aspettative che il ricordo di quella
musica aveva prodotto rispetto ai presupposti narrativi che stanno a monte
della vicenda raccontata in “Rock the Kasbah”. Perché oltre al fatto di
presentare l’inedita commistione tra la comicità surreale di Bill Murray e la tragedia evocata dai fantasmi di
una guerra (afghana) che non è mai terminata, c’era da tenere conto del
potenziale dissacratorio – e quindi della risonanza con la canzone di cui
abbiamo accennato – insito nel personaggio di Richie Lanz, il manager musicale
che, totalmente avulso dal contesto ambientale in cui ad un certo punto si
ritrova, è chiamato suo malgrado a rappresentarne il corpo estraneo che fa
saltare il banco. Come puntualmente accade quando Richie, nel tentativo di
rimediare alla fuga della cantante che gli ha fatto perdere i soldi dei concerti
organizzati a favore delle truppe americane, si mette in testa di sfruttare le
straordinarie doti canore di Saleema, una ragazza pashtun che vive in un
villaggio della provincia afghana.
Interpretato
da Murray, il personaggio di Richie è per forza di cose il termometro emotivo
della storia tanto negli aspetti dinamici, legati al coraggio che ad un certo
punto lo spingono a imbarcarsi nell’impresa di riuscire a iscrivere la ragazza
al talent show Afghan
Star, versione
locale del programma American Idol;
sia quando la sceneggiatura, dovendo distinguere tra buoni e cattivi, assegna
al protagonista il compito di incarnare i valori di una democrazia (americana)
giusta e universale, attraverso una persuasività e una simpatia che, nella
sfida vincente alle regole delle legge islamica, messe in discussione quando il
padre della ragazza vuole negare alla figlia il diritto di esibirsi in
pubblico, ribadisce la filosofia di una nazione cresciuta nella convinzione di
essere il principio di tutte le cose. Murray dall’alto della sua maestria
caratterizza le contraddizioni del protagonista – diviso da aspirazioni
artistiche e voluttà mercantili - tratteggiando una tipologia umana amabilmente
difettosa. Al contrario di Levinson che, forse condizionato dalla flemma del
suo attore, forse semplicemente a corto d’ispirazione, si rende artefice di una
regia troppo compassata per riuscire a trasmettere l’energia che la storia e il
titolo del film gli mettono a disposizione.