Il motto dei separatisti keniani dell’Mrc
La guerra che sta insanguinando il nord del Mali trae origine dalle rivendicazioni secessioniste dei nomadi tuareg, organizzatisi nel Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (Mnla). I tuareg già prima dell’indipendenza chiesero di non essere inclusi nelle istituzioni dello Stato africano e, in seguito, si ribellarono più volte contro il governo centrale di Bamako.
Fino ad arrivare al 6 aprile dello scorso anno, giorno della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Awazad, che ha minato l’integrità territoriale del Mali e ha condotto al conflitto in atto nel paese. Ma quella degli “uomini blu” non è l’unica aspirazione indipendentista nel continente nero.
Concentrando l’attenzione sulle spinte autonomiste della macroregione, si constata che i potenziali secessionisti africani non sono pochi. Tra queste situazioni cosiddette calde, ce ne sono alcune che in particolare richiamano l’attenzione degli analisti come quella del Sahara occidentale, della petrolifera enclave angolana di Cabinda, della regione etiopica dell’Ogaden, nonché del territorio senegalese di Casamance e della zona costiera del Kenia.
Il Sahara occidentale è un’ex colonia iberica che Madrid cedette nel 1975 a Marocco e Mauritania con un accordo segreto contrario al diritto di autodeterminazione. Nella successiva spartizione con la Mauritania, al Marocco andò il controllo di tutto il Sanguía el-Hamra e della parte settentrionale del Río de Oro, mentre il resto della regione passò sotto la giurisdizione di Nouakchott.
A rivendicare il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi è il Fronte Polisario, sigla del Fronte Popolare di Liberazione del Sanguía el-Hamra e del Río de Oro. Il movimento indipendentista nel 1976 ha proclamato la Repubblica democratica araba del Saharawi e ha condotto un’aspra resistenza contro Rabat fino al 1991, quando dietro la promessa di un referendum per definire la questione ha deposto le armi. La Mauritania si è ritirata dal conflitto nel 1979; la zona che le era stata assegnata dall’accordo del 1975 è stata in gran parte occupata dal Marocco. Il referendum non è stato mai celebrato e l’area è ancora adesso sotto occupazione marocchina. Molti saharawi vivono come rifugiati nei campi presso Tindouf, in Algeria.
Le istanze indipendentistiche della provincia di Cabinda hanno motivazioni storiche e politiche risalenti al periodo coloniale della dominazione portoghese. Con il trattato di Simulambuco del 1885, il territorio acquisì uno status giuridico a sé stante rispetto alla colonia dell’Angola. Il Portogallo proclamò più volte la divisione politica tra Luanda e Cabinda. Una divisione anche suffragata dai 60 chilometri di territorio congolese che separano la provincia ribelle dall’Angola. Poi, nel 1956, la madrepatria unì il controllo amministrativo dei due domini d’oltremare.
La questione dell’indipendenza di Cabinda guadagnò tragicamente la ribalta delle cronache giusto tre anni fa, quando i separatisti dell’enclave petrolifera mitragliarono il pullman che trasportava la nazionale di calcio del Togo, impegnata nella Coppa d’Africa che si disputava in Angola. I ribelli uccisero l’autista, il vice allenatore e l’addetto stampa della squadra.
L’attentato fu rivendicato dal Flec (Fronte nazionale per la liberazione dell’enclave di Cabinda) che dal 1963 si oppone al governo di Luanda per ottenere l’autonomia della piccola provincia, che fornisce il 60% del petrolio angolano, ma che, secondo molti, langue nell’oblio socio-economico. L’azione terroristica ai danni della squadra del Togo ha di fatto interrotto tutti i negoziati sulla questione di Cabinda.
Dimenticata da tutti, la guerriglia dell’Ogaden, negli anni passati ha causato migliaia di morti. Il governo etiope e i ribelli dell’Onfl (Fronte Nazionale di liberazione dell’Ogaden) si sono combattuti senza esclusione di colpi e ripetute denunce da parte di organizzazioni umanitarie sono state formulate contro l’Etiopia, per i crimini di guerra commessi nella regione a maggioranza somala.
Nell’ottobre 2010, per fronteggiare la minaccia dei ribelli separatisti, Addis Abeba ha siglato un accordo di pace con la fazione maggioritaria dell’Ofln fedele a Salahdin Abdulrahman Ma’ow, ma l’intesa, ritenuta “irrilevante” dalla restante parte del gruppo ribelle, non ha avuto lunga durata e dal gennaio 2012 sono riprese le ostilità. Per dare un nuovo impulso ai negoziati, lo scorso settembre a Nairobi, il governo di Addis Abeba e i rappresentanti dell’Onlf, hanno avviato nuovi colloqui di pace con la mediazione del ministro degli Interni keniano Yusuf Haji.
Casamance è un’ex colonia portoghese situata nell’estremo sud del Senegal, divisa quasi del tutto dalla madrepatria dal Gambia, ex colonia inglese. La guerriglia per l’autonomia di questa striscia di territorio è cominciata nel 1982, sotto la guida dell’Mfdc (Movimento delle forze democratiche del Casamance), che rappresenta la popolazione jola, la più povera del Senegal.
Un conflitto a bassa intensità, fatto più di attentati e di assalti mordi e fuggi, che comunque in 30 anni ha prodotto un milione di profughi e diverse migliaia di morti. Attualmente l’Mfdc è diviso in tre fazioni, che nonostante i vari round di negoziati con il governo di Dakar, e parecchi cessate il fuoco tutti miseramente falliti, non hanno mai raggiunto un accordo stabile e duraturo.
L’elezione del nuovo presidente senegalese, Macky Sall, nel marzo scorso, sembra aver dato nuovo impulso ai colloqui per trovare una soluzione negoziale alla questione. Il governo ha detto di essere disposto a trattare seriamente e la comunità romana di Sant’Egidio si sta adoperando nel tentativo di mediare tra le parti.
Infine, le rivendicazioni di indipendenza della zona costiera dal resto del Kenya, sostenute dal movimento secessionista Mrc (Consiglio repubblicano di Mombasa), che sta reclutando centinaia di giovani per protestare contro le ingiustizie subite dalle città della costa.
E’ importante evidenziare che il movimento dei secessionisti di Mombasa non ha mai fatto ricorso alla violenza, anche se dal 2005 ad oggi, l’ha subita più volte. Il Mrc annovera decine di migliaia di tesserati che ricevono una carta di appartenenza al Consiglio supremo del movimento su cui è riportata la frase “Pwani Se Kenya” (la costa non è Kenya).
Fino ad ora, il presidente Mwai Kibaki ha sempre respinto ogni richiesta di secessione, rifiutando qualunque tipo di negoziato. Una preclusione motivata dalla consapevolezza che un’apertura in questo senso potrebbe aprire la strada alle richieste d’indipendenza di altre regioni del paese, ma il rischio maggiore consisterebbe nell’isolamento economico dell’intera area, derivante dalla perdita del sempre più importante sbocco al mare per il Kenya.