L’altro giorno dovevo andare al mare insieme a mia figlia e mia nipote per raggiungere il resto della famiglia che ci aveva preceduto da qualche giorno. Ovviamente abbiamo escluso la macchina e optato per un tranquillo viaggio in treno.
Tranquillo fino a un certo punto. Perché abbiamo sempre provato un po’ di invidia nei confronti di quei viaggi avventurosi di cui ci raccontano amici e parenti, e quindi abbiamo deciso di prendere il nostro come se la destinazione non fosse Porto Ercole, ma invece una di quelle mete esotiche che tanto ci attirerebbero: India, Nepal, Cambogia… Quindi, grazie anche alla collaborazione delle “nostre” (e lo dico con orgoglio) Ferrovie dello Stato, e con il prezioso aiuto dell’assessorato al Traffico del Comune di Roma, il nostro banale viaggio Roma – Orbetello si è trasformato in un’avventura da far invidia a Sandokan o Indiana Jones; e se, come dice il poeta, la meta del viaggio è il viaggio stesso, la nostra vacanza non ha avuto davvero nulla da invidiare alle esotiche mete che tanto ci attirano.
Innanzitutto non c’è avventura senza ostacoli. Il primo è stato rappresentato dall’acquisto dei biglietti via internet. Questa pratica, usata abitualmente, questa volta ci ha piantato in asso: il sistema infatti non mi permetteva di inserire come viaggiatori 1 adulto e 2 ragazzi: il campo c’era ma dal menu a tendina potevo selezionare un massimo di 1 adulto e 1 ragazzo. E dell’altra che ne avrei fatto? L’avrei lasciata al deposito bagagli? L’avrei nascosta in una valigia?
Vabbè, mi sono arresa e ho inserito 1 adulto e 1 ragazzo (per l’altra avrei fatto un biglietto separato), ma schiacciando il pulsante PROCEDI un alert mi diceva che la tariffa selezionata non mi permetteva di inserire neanche un ragazzo (sistema schizofrenico: prima me lo fa inserire, ma poi non mi fa procedere!).
Ok. Fa parte dell’avventura. Significherà che per i treni regionali non esistono biglietti ridotti. Certo che se lo spiegassero sarebbe più semplice da capire, anche se, mi rendo conto, meno divertente (Ah! Ah! Ah!). Cerco di acquistare allora 3 biglietti interi, ma no. 3 adulti non è possibile. Alla fine, stremata, mi decido a lasciar perdere seguendo il suggerimento del Marito che sosteneva fosse meglio comprare un biglietto chilometrico dal tabaccaio. E ci appropinquiamo quindi ad andare in stazione senza il biglietto e senza la prenotazione del posto a sedere (Tanto, chi volete che vada a Orbetello in un qualunque martedì di luglio alle 4 del pomeriggio?).
L’arrivo in stazione, lungi dall’andare liscio come avrebbe dovuto in una Roma semivuota di fine luglio è durato moooooolto più del necessario a causa del traffico dovuto (indovinate un po’?) ai lavori stradali che in zona Stazione vanno avanti ormai da mesi. (Grazie, Sindaco: così mi sento un po’ meno nel civile Occidente, e mi diverto un po’ di più (Ah! Ah! Ah!).
Però siamo riuscite almeno a evitare di prendere il treno in corsa anche grazie all’abbondante anticipo con il quale il mio istinto di jewish mother (altrimenti detto atavica tribolazione) mi ha fatto partire da casa.
Prima tappa: la tabaccheria, dove una gentilissima (si! si!) signora mi dice che il biglietto chilometrico vale solo all’interno del Lazio (Strano: il Marito insiste nel dire che a lui l’hanno sempre accettato: qui ci deve essere lo zampone di Bossi e Calderoli). Mi reco allora alla biglietteria automatica dove, ad aiutare gli sprovveduti avventori, c’era un gruppo di stranieri ubriachi che (foooorse in cambio di qualche soldo) avrebbero premuto loro i pulsanti al posto mio. Proprio come accade in un civilissimo Paese Occidentale. “No, grazie, faccio da sola, non insistete…”: ma anche qui, come a casa, il biglietto ridotto non è contemplato. Opto per 3 biglietti interi. No. Nessun pulsante (nessuno!) mi permetteva di aumentare il numero dei biglietti. Il che avrebbe significato acquistarli uno alla volta e trovare soldi spicci per 3 biglietti separati: mission impossibile.
E la biglietteria, quella umana, direte voi? Avete presente una fila lunga? Ecco, moltiplicatela per 10.
Così, dopo aver vagato in stazione alla ricerca non so neanche io di cosa, vado alle biglietterie automatiche con pagamento carta di credito (tempi moderni, direte! Quanto vi sbagliate!!!) e una signora in divisa delle FS, dopo avermi guardato mentre tentavo l’acquisto in 5 macchinette diverse per 10 minuti di orologio, si decide a dirmi che sono tutte ferme a causa di un blocco del sistema. Umilmente la ringrazio (de che?) e le dico che sarei tornata a quelle a monetine situate all’esterno. Mossa a pietà mi risponde che il blocco riguardava tutta la stazione e che avrei dovuto fare i biglietti in treno assicurandomi che non avrei dovuto pagare multe.
E quindi andiamo verso il nostro treno, sempre senza biglietto e senza prenotazione del posto (tanto, chi volete che vada a Orbetello in un qualunque martedì di luglio alle 4 del pomeriggio?). E così, con 12 pacchi (tra borse, valige e borse frigo – ricordate? Sono una jewish mother D.O.C.!) e naturalmente NESSUN CARRELLO a disposizione dei viaggiatori, neanche a pagarlo, ci avviamo verso il binario 25.
25? Siamo sicuri? Qui l’ultimo è il 24. Nessuno a cui chiedere, ovvio.
Ci incamminiamo lungo l’ultimo binario in quanto le informazioni reperite (dai turisti stranieri) ci hanno fatto intuire che quella era la via giusta. Cammina cammina, con sacche e borse che ciondolavano dalle nostre spalle e dalle nostre mani, un tale (straniero, forse tedesco) per superarci prende mia figlia per una spalla e la sposta violentemente manco fosse un carrello. Trasformatami in Madre Coraggio a quel punto prendo la bambina attonita, corro per raggiungere il tedesco ciccione e urlando gliela rimetto davanti dicendogli: “intanto giù le mani da mia figlia, poi la gente la sposti al paese tuo, stronzo!”.
Inutile sottolineare che il tale non capiva una minchia di quanto dicevo e mi guardava come se la pazza fossi io! Come se.
Intanto del binario 25 neanche l’ombra. Tanto che ci siamo domandate se per caso non eravamo capitate in una storia di Harry Potter dove il treno per Hogwarts parte dal misterioso binario 9 e ¾. E come si materializzerà alla Stazione Termini il binario 25? Dovremmo anche noi passare attraverso il muro? No, tranquilli. Nella Stazione nostrana è sufficiente camminare, armi e bagagli, per circa 2 km, senza nessun ausilio meccanico tipo tapis roulant, (o come dicevo prima, un misero carrello) fino praticamente alla stazione Ostiense, dove alla nostra destra, oltre il muro, compaiono miracolosamente i binari 25, 26 e 27.
E finalmente… Wow. Ecco il treno. L’agognato treno. Saliamo, certe che non sarà poi così pieno… Chi volete vada alle 4 del pomeriggio di un martedì qualunque a Pisa, ultima destinazione del nostro Regionale?
… Beh voi non potete sapere quante persone alle 4 di pomeriggio di un martedì qualunque vanno a Pisa. E non persone normali, civili, pulite… No!
No perché evidentemente le persone civili sono costrette a fare altre scelte e usare altri mezzi. In buona sostanza perché il treno regionale Roma-Pisa di civile non ha nulla. E buon per noi, che eravamo alla ricerca di un viaggio avventuroso in un Paese del sud del mondo!
Dicevo nulla di civile, a cominciare dall’aria condizionata (che non c’era) passando per i bagni (che non c’erano: quelli a bordo si potevano a malapena chiamare cessi); per finire ai normali servizi a bordo, carrello bar, ai sedili puliti, alle porte funzionanti… Niente di niente.
E così questo per forza è un treno di derelitti: persone sudice, sudate e puzzolenti; alcuni a torso nudo. Quasi tutti scalzi. Italiani, stranieri, indistintamente. Ciccione spagnole di una certa età con pantaloni di lino bianchi e perizoma; pischelli sudati intinti e maleodoranti, in bermuda, canottiera e infradito. Qualche extra comunitario in pantaloni neri lunghi e maglietta (chiunque suderebbe e puzzerebbe al loro posto, anche l’extra comunitaria Audrey Hepburn!); signore con le gambe distese sul sedile di fronte che si scaccolavano i piedi; insomma, più che un viaggio, un’odissea.
Faticosamente riusciamo a trovare 3 posti vicini. Ci accomodiamo (per modo di dire!). Una puzza infernale. Un caldo torrido. Appena il treno parte una corrente (calda) ma fortissima si sprigiona attraverso i finestrini aperti. Le tende (sudice in modo scandaloso) che ci svolazzavano in faccia insieme ai capelli (non solo i nostri. In terra tra polvere, schifezze e sporcizia anche piume di volatile.
Sulla rete portabagagli solo una valigia: la mia. Per il resto sacconi dell’immondizia usati a mo’ di bagaglio.
L’unica sicurezza in questo viaggio allucinante è che il capotreno (ammesso che ci fosse) non sarebbe mai venuto in questo schifo a controllare i nostri biglietti; e quindi almeno la soddisfazione di aver fregato alle Ferrovie dello stato 25.50 €. Basteranno a coprire il costo di questa divertentissima avventura?