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Le Avventure di Gordon Pym: gli Sconfinati Abissi di Edgar Allan Poe

Creato il 02 dicembre 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Le Avventure di Gordon Pym: gli Sconfinati Abissi di Edgar Allan Poe

Quando uno scrittore pubblica prettamente racconti e poesie viene additato con la tara della brevità e liquidato come sì uno sprinter di talento ma pur sempre un atleta inidoneo ai percorsi lunghi (come se la vita non fosse un lungo susseguirsi di attimi brevi e spesso conchiusi). Una certa legnosità accademica volta all'insegnamento a compartimenti stagni tende a valutare solo la forma romanzo come l'unica compiuta, non approfittando nemmeno della posterità per considerare l'intera produzione dell'autore.

Edgar Allan Poe è stato spesso insignito dalla storiografia letteraria ufficiale del bizzarro titolo di "maestro del racconto breve" perché, suggeriscono surrettiziamente gli esegeti biografi, l'unico confacente a un tipo di scrittura che viveva di lampi ed intuizioni che si manifestavano nelle pause tra una smisurata bevuta d'alcool e una stupefacente fumata d'oppio. Solo che a smentire queste formule colme di inerzia pedagogica provvede la lettura priva dei reticoli scolastici dell'intero corpus dello scrittore bostoniano che nel 1838 aveva pur dato alle stampe il suo unico romanzo Le avventure di Gordon Pym (da noi letto nell'edizione BUR con la traduzione di Maria Gallone).

La vicenda segue le avventure marinaresche di uno scoperto alter-ego dell'autore, l'Arthur Gordon Pym del titolo, e nonostante ricalchi le strutture di quel tipo di narrativa si pone come un maelstrom di quasi tutte le ossessioni di Poe. Il romanzo da una parte getta una luce nuova sulla passione dello scrittore statunitense per la vita nautica, dall'altra fornisce un formidabile catalogo delle maggiori angosce che attraversano la sua poetica. La prima ed unica avvertenza da fare è che senza un manuale di navigazione accanto (ottocentesco, tra l'altro, che alcuni termini sono giocoforza desueti) la lettura de Le avventure di Gordon Pym rischia di far saltare alcuni tecnicismi della trama assolutamente fondamentali per raccapezzarsi nell'immaginazione della storia ivi narrata. Se invece si è disposti a soprassedere al completo discernimento sulle manovre da compiere con la vela di parrocchetto in caso di fortunale, il romanzo riesce comunque ad offrire un eccellente e terribile excursus sulle possibili disavventure che capitano in mare aperto.

Tragedie che acquisiscono sinistramente il tono di auto-profezie che si avverano se Pym stesso, all'inizio del suo resoconto, chiarisce che della navigazione oceanica "i lati sereni, gai, avevano su di me un effetto limitato. Mi attiravano le visioni di naufragi e di fame, di morte o di prigionia tra le genti barbare, di un'esistenza trascinata nel dolore e nelle lacrime, su uno scoglio grigio, solitario, in mezzo a un oceano irraggiungibile, ignoto". Tutto il romanzo è giocato intorno a questa pulsione di morte, continuamente evocata e però mai annichilente. Di fronte ai continui inviti che la Signora con la falce propone al protagonista, egli sfugge con una caparbietà e una razionalità di peculiare forza. Sin dal primo incidente con Augustus sull' Ariel (anche le marachelle giovanili in Poe sono sanzionabili con la dipartita: vedi l'abuso di alcool e la sprovvedutezza suicida iniziale del protagonista) Arthur Gordon Pym continua stoicamente a sfidarla intraprendendo imprese sempre più ardite. Egli si ribella all'ordine cosmico e viene messo alla prova da disgrazie sempre maggiori.

Sperimenta dapprima sulla sua pelle uno degli orrori più grandi (su cui Poe ha scritto qui e nei Racconti alcune delle sue pagine più belle) in cui un uomo possa incorrere, la più micidiale mistura di inedia, paura, tortura, claustrofobia, annichilimento che è, per rimanere alla terminologia dello stesso autore, la sepoltura prematura. Sepoltura resa ancora più mozzafiato dall'apparente libertà di movimenti che la costrizione all'interno della stiva della baleniera Grampus consente. Il nascondiglio iniziale si rivela pian piano più inesorabile della bara.

I miasmi venefici del ripostiglio di centinaia di botti d'olio di balena, lo scorretto stivaggio delle altre casse, il rollio perenne della nave, l'imputridimento dei pochi viveri rimastigli, l'arsura della sete, un cane che impazzisce d'idrofobia in un crescendo di penetrante verosimiglianza fa gettare al lettore galloni di sudore per l'ansia. L'accanimento feroce di ribrezzi psicologici contraddistingue quindi questa parte del romanzo per poi lasciare repentinamente spazio a quello più propriamente fisico.

Il primo macabro segno di questa svolta è la trovata che consente al gruppo dei ribelli di liberarsi dal regno d'oppressione degli ammutinati. Al protagonista toccherà impersonare un cadavere enfio e illividito per sfruttare a proprio vantaggio la superstizione dell'equipaggio. Pym-Poe mette in scena l'altrui morte per sfuggire alla propria: il simbolismo è evidente e correrà a più riprese in tutta la sua produzione letteraria. In questo caso però questa montatura da sola non basta perché la natura selvaggia del mare chiede sacrifici ancora più grandi. È come se l'impenetrabilità antropologica dell'oceano rifiutasse con una risata omerica tutte le convenzioni umane e a chiunque voglia sfidarlo chieda l'abbandono di queste. I quattro superstiti del Grampus, dopo giorni di navigazione spossante su un guscio di noce, derelitti e affamati, saranno costretti a praticare la più aberrante forma di nutrizione: il cannibalismo. Pym sopravvivrà grazie ad esso ma singolarmente non serberà quasi rimorso per una delle più inumane onte. E dimostrerà fino alla fine di non aver imparato a rispettare i misteri ancestrali del pianeta dato che sarà a causa della sua intraprendenza che la Jane si spingerà nell'esplorazione dell'Antartide.

L'ultimo spezzone sull'isola di Tsalal rimedia in parte al precedente trattatello zoologico e naturalistico che tanto sapeva di documentarismo di terzo mano a causa sia di uno stile iper-descrittivo, sia perché gonfio della scientificità di chi ha udito da proprio orecchio le incredibili avventure di un vero esploratore e voglia fornire ad esse una base positivista. In questo modo noi crediamo di risolvere la "questione Reynolds", e cioè propendiamo per l'ipotesi che l'ultimo nome insistentemente evocato da Poe nella sua ultima ora sia riferibile al navigatore Jeremiah Reynolds, fautore della tesi della cavità della Terra che influenzò direttamente proprio il celeberrimo finale sospeso de Le avventure di Gordon Pym.

A questo proposito vogliamo spendere le ultime due parole sul cliffhanger più evocativo della letteratura moderna. Anche se noi contemporanei sappiamo che i poli non sono bucati si fa fatica a non restare suggestionati dal progressivo aumento di temperatura registrato dal protagonista man mano che si avvicina all'inesplorato Polo Sud. Una fitta cenere bianca comincia a cadere su un oceano così caldo da non poter più essere toccato. Quando ecco apparire all'orizzonte una forma umana con fattezze infinitamente più grandi, tutta vestita di bianco e il cui ruolo è volutamente lasciato indefinito. È una guida che conduce verso altri mondi o un guardiano severo che ammonisce lo spregiudicato avventuriero che osa portarsi ai limiti estremi del conoscibile?

Qui Poe termina il racconto diaristico di Pym e conclude il romanzo con una finta nota dell'editore. È l'estremo paradosso dello scrittore statunitense, forse il più surreale di un immaginario che Lovecraft descrive come "cosmico in senso limitato: per lui gli sconfinati abissi non si schiudono mai al di fuori, nell'universo, ma nella mente e nello spirito umani". Possiamo affermare che questa lettura, seppur voglia essere una critica, sia un bel compendio della poetica di Poe. Di fronte al possibile dilagare della fantasia più debordante egli infine opera una cesura netta per dar posto a un'interpretazione dei simbolismi delle parole, dei gesti e perfino delle grotte registrati a Tsalal. Come a dire che l'Ignoto cosmico non si deve neppure pensare mentre l'Orrore umano va sempre analizzato anche a costo di insistere sui suoi cruenti particolari. Sarà pure limitata ma in lunghi millenni di storia quest'indagine non può certo dirsi conclusa.


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