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Le azioni di stato

Creato il 05 settembre 2025 da Jureconsultus @jureconsultus

Nel moderno diritto di famiglia il diritto del minore di crescere all’interno del nucleo familiare ha assunto un ruolo centrale e ciò è riscontrabile nell’attuale articolo 315 bis comma 2. Affinché tale diritto possa essere garantito, l’ordinamento attribuisce al minore lo stato di figlio attraverso il quale si identifica a livello formale la famiglia di costui. Partendo da un dato tradizionalmente compendiato nel brocardo “Mater semper certa est pater numquam”, le modalità stabilite per l’accertamento di maternità e paternità differiscono tra di loro: la maternità è attribuita automaticamente a colei che ha partorito, salva l’ipotesi dell’esercizio del diritto di costei non essere nominata ai sensi dell’articolo 30 d.P.R. 396/2000; la paternità è invece attribuita nel caso di figli nati nel matrimonio al marito della madre qualora il concepimento e la nascita siano avvenuti in costanza di matrimonio (presunzione di paternità articolo 231), nel caso di nati fuori dal matrimonio a chi riconosce il figlio come tale nell’atto di nascita oppure con apposita dichiarazione posteriore alla nascita o al concepimento davanti ad un ufficiale dello Stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, articolo 254. Nel caso in cui il dato anagrafico non corrisponda alla verità biologica oppure manchi del tutto, l’ordinamento mette a disposizione le azioni di stato che in maniera diversa anche in relazione ai diversi presupposti tendono a rimuovere questa distonia o a riempire la lacuna. Le azioni di stato sono: l’azione di reclamo dello Stato di figlio articolo 239 che è volta a far conseguire al soggetto lo stato di figlio non risultante dal suo atto di nascita; l’azione di contestazione dello stato di figlio, articolo 240, che è volta a rimuovere lo stato di figlio di chi risulta dall’atto di nascita come figlio di determinati genitori che non sono i veri genitori; l’azione di disconoscimento di paternità articolo 243 bis che accerta che il presunto figlio è stato concepito da persona diversa dal marito della madre; l‘azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità articolo 263 che rimuove l’efficacia del riconoscimento in quanto il suo autore non è il genitore della persona riconosciuta; l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità che mira a conseguire l’accertamento formale dello stato di figlio rispetto a un genitore non coniugato. Il sistema è volto alla ricerca della verità biologica ma tale funzione non ha un valore assoluto essendo oggetto di bilanciamento con l’interesse del minore a non veder troncati rapporti affettivi consolidatisi negli anni. Pertanto, mentre l’ordinamento consente sempre al figlio di conseguire uno status conforme alla realtà biologica prevedendo limprescrittibilità delle azioni, quella di disconoscimento della paternità, quella di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, quella per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, per quanto riguarda i genitori sono previsti dei termini decadenziali spirati i quali essi non possono più sottrarsi ai doveri genitoriali, malgrado l’assenza di legame biologico con il soggetto verso il quale li hanno adempiuti e devono continuare ad adempiere; l’articolo 244 ai commi 1 e 2 stabilisce che l’azione di disconoscimento di paternità esperita dalla madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio ovvero dal giorno in cui è venuto a conoscenza della impotenza di generare del marito al tempo del concepimento; il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio, se prova di aver ignorato la propria impotenza di generare ovvero l’adulterio della moglie il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenzail quarto comma prevede che nei casi previsti dal primo e dal secondo l’azione non può essere comunque proposta oltre i 5 anni dal giorno della nascita. Altra questione importante è quella relativa alla dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 263 nella parte in cui non prevede che per l’autore del riconoscimento il termine annuale per proporre l’azione di impugnazione decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità, non essendo legittimo limitare al solo caso dell’impotenza il presupposto per l’impugnazione, a differenza di quanto previsto per lazione di disconoscimento del marito. La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità prevista all’articolo 269 è ammessa nei casi in cui è ammesso il riconoscimento; il primo comma mette in risalto la circostanza che l’azione per la dichiarazione della paternità sia un rimedio contro il mancato riconoscimento spontaneo e vadletto in combinato disposto con l’articolo 253 che non ammette il riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova; l‘azione può pertanto essere proposta soltanto da una persona priva di status filiationis sin dalla nascita oppure a seguito del proficuo esperimento di una delle azioni volte a rimuovere uno stato difforme dalla realtà biologica. La prova della paternità può essere fornita in ogni modo e oggi con gli accertamenti ematologici si arriva ad un grado di certezza quasi pari al 100%. Nel caso in cui il convenuto si rifiuti di sottoporsi alla prova del dna, tale comportamento può essere oggetto di valutazione da parte del giudice ex articolo 116 del codice di procedura civile. L‘azione per ottenere giudizialmente la paternità o la maternità può essere promossa nell’interesse del minore dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale prevista dall’articolo 316 oppure dal tutore. Si tratta di un caso di sostituzione processuale. La domanda va proposta nei confronti del presunto genitore, in sua mancanza dei suoi eredi. In relazione a quest’ultimo profilo la Suprema Corte ha disatteso una possibile interpretazione estensiva come se riguardasse tutti coloro che in astratto potessero rivestire la qualifica di erede, deve invece essere intesa nel senso che si riferisce agli eredi in senso stretto escludendo chi abbia validamente ed efficacemente rinunciato alla eredità 

  Avv. Luca Sansone


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