Le Baccanti di Euripide al Teatro Greco di Siracusa
Creato il 08 giugno 2012 da Spaceoddity
Dioniso è un dio nuovo a Tebe, un dio orientale, ma il suo culto ha già cominciato a diffondersi. Certo che è un rito strano, il suo: viene celebrato di notte, prevalentemente da donne (ma non solo, come mostrano Cadmo e perfino l'indovino Tiresia), l'essenziale è la perdita del nous. Come per tutti i mysteria, anche quelo di Dioniso è caratterizzato da quel che non si sa. È per questo che, se non lo riesce ad arginare, il giovane Penteo vuole affondarvi le mani per estirparlo all'origine. La stessa Agave, sua madre, con le sue sorelle ha dubitato della natura divina di Dioniso: per questo il dio, vendicativo e insofferente di ogni attesa per il culto che deve essergli tributato, infiacchisce la razionalità e i dubbi di Penteo e in un'orgia feroce induce il suo coro di baccanti (il tiaso) a un'orgia feroce, voluttà senza ragione, provocando un'autentica carneficina, che sarà illuminata dalla ragione.
È giusto credere a un dio anche quando questi esula da una tradizione religiosa codificata? Euripide, che ha abituato i suoi spettatori alle più spettacolari e inverosimili riletture del mito, chiede senza mezzi termini al pubblico a cosa sia disposto a credere e quale sia il prezzo da pagare per la propria fede o per il discredito che si getta sulla dimensione trascendentale dell'essere. Le sue Baccanti, messe in scena nel 403 a.C., al tramonto - e praticamente a suggello - della produzione tragica, ci interrogano su cosa pensiamo che siano la religione e il mito dell'antica Grecia. E stabiliscono un discrimine netto, definitivo tra un prima e un dopo, che nobilita il ragionare (per altri ozioso) su una storicità, sull'essenza dell'essere greci.
Tragedia sfuggente e suggestiva, Le Baccanti di Euripide. Intelaiata su un'idea irenica di grecità, la squaderna senza riguardo. Ma, proprio nell'esuatorarla, conferma in atto l'energia dialettica che la sottende, un terremoto che fa vibrare la coesistenza di ragione e ragionevolezza da un lato e di incontenibile fuga di senso dall'altro. È comprensibile perciò la tesi, famosissima, di Dodds, che proprio dalle Baccanti parte per ribaltare la consueta oleografia di una cultura filosofica tutta tesa al bene, al bello, al buono, attraverso il bene, il bello, il buono. La tragedia greca (dai più considerata il termometro di un'intera cultura, a sua volta immanente) rifugge dall'immobilità delle raffigurazioni vascolari dell'archeologia classica, per farsi azione.
Per questo Le Baccanti di Euripide gode di una fama speciale tra i moderni artisti della scena: quello che era un coacervo grumoso nella psicanalisi sembra sciogliersi in una forza propulsiva originaria e devastante del noto. Non è venuto meno Antonio Calenda, che nella stagione 2012 delle rapprentazioni classiche a Siracusa (che prevedono anche il Prometeo di Eschilo e Gli uccelli di Aristofane), ha proposto uno spettacolo basato innanzitutto sul coro e su una coreografia tamburellante e coordinatissima della Martha Graham Dance Company, singolarmente aggraziata nella sua tramatura irrequieta, corale e selvatica. Ventidue ragazze, guidate dalla corifea Gaia Aprea, alcune davvero eccezionali, hanno alimentato il senso di vertigine di un testo folgorante e supplito a scelte registiche talvolta poco chiare e a interpreti non sempre all'altezza delle aspettative.
Maurizio Donadoni, attore colto e bravissimo (che ricordo per un monologo elaborato e splendido di parecchi anni fa) è un Dioniso misurato, beffardo e snervante come deve essere, ma a tratti, per i miei gusti, comico in maniera e in modo inattesi. Francesco Benedetto e Daniele Griggio un Tiresia e un Cadmo preparati e, a loro modo, convincenti, ma certo non memorabili. Il bel Massimo Nicolini, salutato a festa dal pubblico femminile, è un Penteo senz'altro inadeguato, una parte che stenta a prendere il volo e che l'attore - a dirla tutta - secondo me fin qui non domina. Daniela Giovanetti è un'Agave ansiosa, turbolenta e forte, dall'aria forse un po' troppo giovane, nonostante il trucco. Anche in lei qualche gesto sembra contraddittorio o meno in sintonia con il carattere tragico del personaggio, tuttavia riesce a convincere con la sua voce "sporca", selvaggia e arrochita dalla disperazione.
L'interpretazione non sempre felice degli attori è legata, a mio avviso, anche a una traduzione, quella di Giorgio Ieranò, che non mi ha convinto affatto per il lessico e le soluzioni comunicative adottate, in particolare nel lessico troppo colloquiale perfino per Euripide. Non so quanto abbiano pesato le prove sulla riduzione del testo, anche perché ho avvertito un senso di leggero scollamento tra testo e spettacolo, ma l'effetto è una banalizzazione che l'opera davvero non merita, anche senza bisogno di ricorrere a un'enfasi inutile. Tutto ciò, s'intende, non pregiudica l'impatto complessivo dello spettacolo, che ha sedotto, specie i ragazzi, non per ultimo per i costumi di Pier Paolo Bisleri, ma in generale per il grandissimo lavoro che lo sostiene e la forza evocativa delle sue danze.
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