“Si possono fare opere d’arte che non siano ‘d’arte’?”. La mostra Le Bord des Mondes in corso dal 18 febbraio al 17 maggio al Palais de Tokyo di Parigi si apre con questa domanda di Marcel Duchamp, cui tenta di dare risposte – parziali, temporanee, spesso solo accennate – attraverso la messa in scena della produzione e/o della riflessioni di artisti sui generis (definitivi di volta in volta visionari, sperimentatori, poeti o pirati) il cui lavoro origina dai più diversi campi disciplinari e dalle più diverse prospettive di indagine sul reale dando luogo a risultati invero poetici e ricchi di potenziale ispirazione.
Bridget Polk _ Balancing Rocks
Bridget Polk _ Balancing Rocks [2]
L’americana Bridget Polk, con le cui opere s’apre l’esposizione, siede in attesa che parti delle sue sculture crollino e abbiano bisogno d’essere risistemate: le Balancing Rocks – risultato delle tre fasi di meditazione, performance e produzione in cui ella articola il processo produttivo – sono infatti composizioni impossibili di laterizi di cemento, pietre porose smussate da vento e pietre arrotondate dall’acqua dei fiumi, in equilibrio precario l’una sull’altra per il tramite di precari punti d’appoggio reciproci di minime dimensioni e con una distribuzione improbabile dei volumi. Incontro del mondo naturale con quello culturale, esse dimostrano simbolicamente che nella vita è possibile tentare di organizzare il caos, ma l’equilibrio raggiunto sarà sempre effimero, perché sottoposto, oltre che alla nostra, anche all’azione di altri elementi del contesto.
Poco più avanti, la serie di stampe fotografiche afferenti al progetto Topography of Tears di Rose-Lynn Fisher illustra la ricerca dell’artista sulla struttura delle lacrime in relazione agli stati affettivi per i quali sono state spese, e apre alla proiezione su tre schermi di un video documentario sulla lingua degli uccelli parlata dagli abitanti di Kusköy, in Turchia, inventata in tempi remoti e tramandata di generazione in generazione là dove la conformazione geografica del territorio impediva l’intelligibilità su grandi distanze del linguaggio umano.
Un tentativo di traduzione dal linguaggio umano in un altro linguaggio è anche quello dell’economista Laurent Dérobert che ha inventato la ‘matematica esistenziale’, ovvero la trasposizione in formule matematiche di sentimenti e sensazioni che interessano l’umano. In questo modo egli progetta ed espone equazioni che riassumono le relazioni umane, i punti di rottura e quelli di potenziale ricomposizione, affinché l’individuo possa trovare come ridurre la distanza che separa la sua realtà da quella del suo essere ideale, ragion per cui il lavoro di Dérobert si esprime nella mostra anche a livello performativo, con l’ascolto quotidiano delle confidenze dei visitatori e la traduzione di queste in formule.
Theo Jansen _ Animaris Umerus
Theo Jansen trova invece da vent’anni strane creature sulla spiaggia di Scheveningen in Olanda. Dotati di vita propria, a suo dire, questi esseri dalle forme intricate coerenti con i principi dell’evoluzione e della genetica, sono costituiti di tubi isolanti e bambù, e camminano sulla sabbia mossi dal vento, imponenti quanto placidi. Quando Jansen li incontra, se feriti, li cura; se morti o smembrati, li raccoglie e classifica, secondo la catalogazione scientifica in biologia, così che in questa occasione possiamo vedere esposto un esemplare di Animaris Umerus, e alle pareti una raccolta di fossili e di particolari anatomici di queste creature.
Carlos Esponosa _ Atrapaniebla
Catturare le nuvole è invece lo scopo delle atrapanieblas dell’ingegnere cileno Carlos Espinosa, che nel 1960 sviluppò una tecnica rivoluzionaria per catturare l’umidità in aree desertiche, e permettere così la sopravvivenza dell’essere umano e della vita animale e vegetale anche in regioni aride e prive di pioggia. Da quel momento egli stesso fece dono della sua invenzione ovunque ve ne fosse bisogno, ma dal 1963 l’UNESCO ne ha acquisito i diritti e s’è fatto carico della produzione e del dono gratuito ovunque ve ne sia la necessità in vece del suo inventore.
Jerry Gretzinger _ Map (particolare)
Jerry Gretzinger è invece un anziano americano che da quello stesso anno, il 1963, disegna la mappa di un mondo immaginario di 240mq composta da 3000 fogli quadrati. Il mondo immaginario è quello di un’Ukrainia che nulla ha a che fare con la realtà di questo stato, ma che rappresenta solo una scusa per disegnare e dipingere con ogni mezzo case, centrali elettriche, treni, ospedali, pianure, fiumi, ponti, confini. Iniziata per riempire momenti vuoti in un lavoro noioso, tale pratica diventerà quotidiana attraverso il gioco che l’artista fa con se stesso pescando a caso ogni giorno una carta da un mazzo in cui è segnato il tipo di intervento da fare quel giorno, mentre si dedica alla cura della fattoria in cui vive con la propria famiglia.
Jean Katambayi _ Simultium
Jean Katambayi _ Simultium (particolare)
Jean Katambayi, congolese, è invece studioso appassionato delle ‘energie’ tanto fisiche quanto spirituali che governano il pianeta. Nato come studioso di elettronica, matematica e informatica, egli si dedica alla creazione di installazioni che utilizzano materiali poveri, quali il cartone, come base per accogliere circuiti elettrici e misuratori di ogni genere di risorsa naturale. In tal modo il risultato del suo lavoro consiste da una parte nel tentativo di catturare le energie del mondo circostante, dall’altra nel richiamare simbolicamente l’attenzione alla situazione del proprio Paese che – come il continente cui appartiene – se concepito in relazione alla variabile energetica presenta uno squilibrio paradossale in termini di risorse-flussi-sfruttamento, squilibrio che esemplifica perfettamente le contraddizioni geopolitiche post-coloniali della contemporaneità.
Una realtà che parimenti si inserisce nel discorso post-coloniale spostandolo però sull’asse dei sincretismi culturali attuali è quello della S.A.P.E., fenomeno che interessa diverse regioni africane, ma che ha la sua ‘capitale’ in Brazzaville (Congo), dove tal movimento cominciò a svilupparsi negli anni ’60. Questa “società degli uomini eleganti” celebra un dandismo declinato all’africana in nome della bellezza e dell’eleganza dove il dio è il capo d’abbigliamento cui si rivolge una preghiera i cui versi chiedono di perdonare tutti coloro che non sanno vestirsi e tutti coloro che non distinguono i colori.
L’esposizione, ancora ricca di contributi dalla robotica all’aracnologia, all’aeronautica, alla gastronomia, si conclude con una sala circolare le cui pareti espongono fotografie, disegni e monitor nei quali sono illustrati i lavori, le scoperte, e le invenzioni di quegli anticipatori dell’intersezione tra campi disciplinari differenti i cui esiti già rispondevano alla domanda d’apertura di Duchamp.
Nel reale stesso, naturale e pre-culturale, c’è infatti ovviamente una bellezza cui gli scienziati sono esposti quotidianamente o che possono di volta in volta, con le loro ricerche, scoprire, così come nelle astrazioni o nelle invenzioni degli esseri umani si creano strutture in cui equilibri, composizioni e ritmi possono risuonare nell’animo degli spettatori suscitando in loro commozione, sconvolgimento, attrazione, coinvolgimento, repulsione – ovvero muovendo loro i sensi, primo obiettivo di una pratica che vuol definire se stessa come ‘artistica’. Il “bordo dei mondi” è allora questo: non un confine, bensì una frontiera – spazio poroso tra gli ambiti del pensiero, del sentire, dello scoprire e dell’inventare umano in cui si genera “emozione estetica”.
fotografie e articolo di Cristina Balma-Tivola