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LE BRAGHE DI MICHELANGELO #rinascimento #censura #controriforma

Creato il 02 ottobre 2013 da Albertomax @albertomassazza

499px-Michelangelo,_Giudizio_Universale_02Accanto all’ammirazione di tanti dei privilegiati ammessi alla visione in corso d’opera, il Giudizio finale di Michelangelo, ancor prima d’essere portato a termine, suscitò profondo scandalo per l’audacia con cui il maestro rappresentò la nudità umana. In tanti chiesero la rimozione dell’affresco, poco consono alla sacralità del luogo. Più di qualcuno arrivò ad invocare il rogo purificatore per l’eretico artista. Tra i più infervorati, il cerimoniere pontificio Biagio Martinelli, il quale, per quanto ci ha tramandato l’imprescindibile Giorgio Vasari, fedelissimo partigiano michelangiolesco, tentò costantemente di sfruttare la sua vicinanza col Papa Paolo III per gettare cattiva luce sull’opera e sull’artista. Mal gliene incolse: Michelangelo lo dipinse nei panni di Minosse, dotandolo di un irriverente paio d’orecchie asinine. Alle rimostranze del Martinelli, il Papa, sempre stando al racconto dell’artista e biografo aretino, rispose canzonatorio che avrebbe potuto intercedere se il maestro l’avesse posto in Purgatorio, ma essendo finito all’inferno, era fuori dalla sua giurisdizione.

Il povero cerimoniere, censore fallito, morì nel 1544 e non ebbe modo di godersi la rivincita, cagionata dalla temperie tridentina. Paolo III, che pure convocò il Concilio, e il successore Giulio III garantirono incarichi e prestigio a Michelangelo, ma alla morte di quest’ultimo nel 1555, con l’elezione dell’austero e inquisitorio Paolo IV, il clima mutò radicalmente. L’artista finì col passare gli ultimi dieci anni della sua lunga vita con la spada di Damocle dell’Inquisizione. Bontà sua, morì proprio quando gli effetti del Concilio di Trento si stavano per abbattere sul suo Giudizio. Difatti, all’inizio del 1564, pochi mesi dopo la chiusura del ventennale e travagliato concilio, tra i primi interventi ad essere messi in atto fu, per l’appunto, la copertura dei nudi del capolavoro michelangiolesco.

L’incarico fu affidato a Daniele da Volterra, amico e collaboratore di Michelangelo, che, grazie ai suoi interventi censori, si guadagnò l’epiteto di Braghettone. In alcuni casi, il pittore dovette raschiare le parti dell’affresco originale, prima di stendere le sue pudiche velature. In particolare, per le figure di San Biagio e Santa Caterina d’Alessandria, dipinte dal maestro completamente nude e in una posizione che li faceva sembrare in atto di copula, dovette asportare quasi completamente l’affresco michelangiolesco e ridipingere le figure vestite, col volto del santo non più girato verso la santa china, ma verso il Cristo Giudice. Altri interventi censori, susseguitisi fino alla prima metà dell’ottocento, pregiudicarono, al pari dei maldestri tentativi di restauro, la fruizione dell’opera così com’era stata concepita dal maestro.

La grande campagna di restauro che, dopo aver interessato la volta della Cappella, riguardò tra il 1990 e il 1994 il Giudizio, fece ritornare il capolavoro all’originario stupefacente colorismo, ma non riuscì a fare altrettanto con l’impostazione generale. Oltre all’impossibilità dovuta alle raschiature, si considerò l’intervento di Daniele il Braghettone di rilevante importanza storica, in quanto prima testimonianza delle nuove direttive tridentine sulle rappresentazioni artistiche. Solo i più limitati interventi censori dei secoli successivi poterono essere rimossi.

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