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Le canzoni moderne sono più tristi di quelle del passato? Secondo numerosi studi parrebbe di sì. È necessario innanzitutto partire dal presupposto che l'allegria e la tristezza di un brano dipendono da due aspetti chiave: la tonalità, minore o maggiore, e il tempo, più o meno accelerato. Una canzone è, dunque, triste, tanto più il suo tempo è rallentato in tonalità minore. Sulla base di ciò gli studiosi hanno rivelato che negli ultimi cinquant'anni le canzoni sono divenute più malinconiche poiché questi parametri si sono riscontrati sempre più spesso. Basta dare un'occhiata all'immagine seguente. I pallini blu indicano le melodie in minore, quelli rossi, in maggiore. Come si può notare, col passare degli anni, i pallini blu aumentano, suggerendo che, sostanzialmente, le canzoni sono sempre più tristi.
In generale s'è visto che nel periodo compreso fra il 1965 e il 1969 la tonalità maggiore era utilizzata nell'85% delle canzoni, con un tempo medio di 116,4 bpm (battiti per minuto). Oggi, invece, s'è visto che la tonalità maggiore è scivolata al 42,5%, con un rallentamento dei tempi, in media di 99,9 bpm. Un'altra curiosità riguarda gli interpreti delle canzoni. Cinquant'anni fa il 79% dei cantanti era di sesso maschile, a differenza del 61,7% della situazione attuale. Sicché, parlando di canzoni tristi, viene utile spolverare uno studio condotto dalla SIAE inglese – coinvolgendo quasi duemila persone - incentrato sulle canzoni più tristi di tutti i tempi. In testa ci sono i REM con “Everybody Hurts”, seguiti da Eric Clapton con “Tears In Heaven” di Eric Clapton e Leonard Cohen, con “Halleluja”. Sarebbe bello fare la stessa cosa per le canzoni italiane...
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