Le cartine stupefacenti made in Usa

Creato il 23 luglio 2014 da Albertocapece

Il degrado globale è impressionante. A sinistra potete vedere la “prova” che gli Usa pretenderebbero di fornire per sostenere che sono stati i filorussi ad abbattere l’areo malese: si tratta di una cartina su cui è segnato il luogo dell’impatto del velivolo e più in basso le località in cui, stando a immagini raccolte su you tube, sarebbe stato avvistato l’unico lanciatore di missili buk in mano ai ribelli. Per la verità in una delle segnalazioni, raccolte peraltro da un  sedicente blogger in forza ai servizi segreti inglesi, quella di Snizhne, si vede un cingolato senza missili. Ma tant’è, a questo si è ridotta la maggiore potenza mondiale che ha come hatout unicamente l’incredibile subalternità del maistream informativo occidentale.

Al punto che la portavoce del Dipartimento di stato Usa, ben guardandosi dall’entrare nel merito delle rivelazioni russe sul Sukoi di Kiev apparso in coda all’aereo di linea malese sui tracciato radar, sostiene che l’accusa nei confronti dei ribelli filorussi deriva da “una preponderanza di prove“ sui social media e “dal senso comune”. Per la verità un minimo di saggezza ci dice che l’abbattimento dell’aereo porta acqua solo al mulino di Kiev, ma ormai ogni logica o plausibilità  è del tutto estranea alle guerre americane.

Però ammettiamo per un attimo che la “prova”, fabbricabile da chiunque in dieci minuti, abbia una qualche consistenza. Che senso avrebbe in questo contesto la richiesta di nuove sanzioni nei confronti della Russia nel momento in cui gli Usa stessi riconoscono che Mosca non interviene direttamente nel conflitto e che i missili sono quelli strappati dai ribelli a un reparto del governo fantoccio di Kiev? La pretestuosità della posizione americana è talmente evidente, che fa agevolmente risalire alla fame di pretesti che Washington dimostra e dunque alla lampante tentazione di crearli. Tanto più che l’Europa è divisa e non ha nessuna voglia di perdere importanti mercati per dare ad Obama il suo pezzo di carne, posizione riassunta da Juncker nel suo discorso di insediamento, con la dichiarazione che non ci saranno nei prossimi anni estensioni dell’Unione.  Questo dopo aver appoggiato un golpe la cui giustificazione era il ripensamento del presidente eletto su un ingresso dell’Ucraina della Ue.

Siamo di fronte a qualcosa di simile alla scoperta dell’uso dei gas in Siria, segnalato per la cronaca dallo stesso “blogger” oggi rabdomante di missili Buk, cosa che mi riempie di speranza, visto che dopotutto non è così semplice procurarsi complicità e bisogna ricorrere sempre agli stessi personaggi. Ma evidentemente Putin non è Assad, già isolato nel contesto internazionale e a capo di un piccolo Paese, ancorché ricco di idrocarburi sulle proprie coste: sta mantenendo i nervi saldi e sta mettendo in crisi la strategia americana, tanto da indurla a sperare e forse suggerire l’incidente per togliersi di impaccio ora che il colpo ucraino è andato in acido con l’esercito di Kiev impantanato nella guerra, la perdita della Crimea e tutto il governo fantoccio che si regge unicamente sui finanziamenti dell’ Fmi. Il tentativo Usa di opporsi, almeno dal punto di vista militare, alla perdita della posizione unipolare, sta assumendo aspetti pericolosi e grotteschi: ogni concessione a queste pretese avvicina il mondo allo scontro diretto.


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