La lupa in Piazza del Campidoglio. Roma 03 dicembre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI
“Renzi mi giudicherà fra tre mesi”. Marino casca come l’asino sotto la soma e invece di chiedere il giudizio ai romani che lo hanno eletto, lo chiede al premier non eletto che in via istituzionale non c’entra assolutamente nulla col primo cittadino della capitale. Il fatto è che la malapoltica di corridoio e camarilla, la politica degli affari suoi, non ha nemmeno più il pudore di conservare le forme, di fingere un retorico appello all’elettorato e fa sfoggio pubblicamente del suo autismo: un potere minore si rivolge a uno superiore dopo aver opportunamente operato per riconquistarne la benevolenza con l’immissione di opportuni assessori.
Certo nulla di nuovo sotto il sole se non l’abbandono definitivo del bon ton, della finzione che siano i cittadini a decidere e che siano essi e dunque il buon governo i destinatari dei sussurri e delle grida in Campidoglio. Del resto tutto questo non è tanto l’effetto della palese incapacità amministrativa di Marino, quanto ne è la causa: è proprio la logica chiusa della politica, la natura dei suoi rapporti e dei suoi scambi ad aver suggerito la candidatura di un chirurgo lontanissimo da qualsiasi esperienza di governo locale alla guida di una città difficile dove erano passate le cavallette di Alemanno e dove si addensano enormi problemi trascinatisi ben tempo. In questo modo il Pd occhieggiante alla destra si liberava di un imbarazzante sostenitore dei diritti civili in Parlamento e regalava a Roma un sindaco che non sapeva nemmeno da che parte cominciare. Anzi meglio così perché non si rischiava di turbare il mondo di mezzo.
Questo è il vero guaio non tanto gli scontati “fatti gravissimi” che oggi denuncia Alfano, un ministro che è di per sé un fatto gravissimo per il Paese. Il guaio è che Marino dal Palazzo del Campidoglio non si rivolga ai romani, ma a Palazzo Chigi, il quale deve la sua investitura al Palazzo del Quirinale il cui nuovo abitatore, non si sa se vivente o di cartone, risulta da una sentenza precedente la sua elezione assiduo ospite di logge infiltrate dalla mafia. Tra tanti palazzi – e ho citato solo quelli nostrani – la casa comune degli italiani cade a pezzi, mentre tutte le decisioni assunte da Renzi e dai suoi bravi passano completamente sulla testa dei cittadini. Compreso Marino che certo non è il male peggiore del Paese, ma rischia seriamente di diventare un simbolo delle logiche dalle quali nasce e cresce vigoroso il malgoverno.