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Le Catilinarie: la Violenta Mescolanza di Bene e Male

Creato il 24 ottobre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Le Catilinarie: la Violenta Mescolanza di Bene e Male

Tra l’ottobre e il novembre del 63 a.C., in un tempo di crisi e intrighi non molto dissimile da quello che stiamo vivendo adesso, un ombroso e affascinante figuro tentava il sovvertimento del luccicante ordine aristocratico in nome di una giustizia da rivendicare. Uno dei periodi più intriganti della storia di Roma, avvolto nell’ambiguo mistero che solo politici giganteggianti e altrettanto sfuggenti sanno creare attorno a sé, quell’ambiguità misteriosa che, rivissuta tra i libri, libera la fantasia fino a farla posare sulla pericolosa ma inevitabile domanda: chi aveva ragione veramente? Piero Nuti, caposaldo del teatro classico e non solo, ormai stabile a Torino dopo una vita di viaggi internazionali, da qualche anno porta in scena alcuni dei discorsi più famosi ed emozionanti dell’antichità: dopo Processo per magia e Processo a Socrate, ecco Le Catilinarie, fedelissime riproposte delle violente orazioni ciceroniane e dei limpidi e dettagliati resoconti di Sallustio. Sul palco, i quattro maggiori attori della vicenda, coloro che infiammarono l’uditorio con sfavillanti e pungenti parole, lottando per il bene comune ma imponendosi come singoli titani affacciati dal tetto della storia; quattro toghe statuarie, che si risvegliano dall’immobilità al momento di prendere la parola, quell’esile corpo dotato di poteri straordinari, come diceva il sofista Gorgia. Si sa che l’arte oratoria era fissata da canoni ben precisi e possiamo solo immaginare la forza persuasiva che essa potesse avere al momento dell’eloquio; la bellezza della perfetta simmetria tra le frasi e della fluidità dei periodi sciorinanti è l’insostituibile carica energica degna della migliore interpretazione. La scenografia inesistente, ridotta all’essenzialità di sedie, pedane e leggii, non distoglie l’attenzione dello spettatore, che si ritrova così immerso in uno scontro di cui già conosce antefatti e svolgimento, ma dal cui fascino non può essere immune. Nuti così commenta tale diatriba: «Cicerone che accusa Catilina è l’immagine del vecchio che tenta di soffocare il giovane; è l’emblema dell’oligarchia romana che usava tutte le armi a sua disposizione per reprimere. Allo stesso tempo, Cicerone, nei suoi discorsi, cerca di portare le ragioni di Catilina. La domanda è sempre la stessa: chi ha ragione e chi ha torto?».

una immagine di Piero Nuti su Le Catilinarie: la Violenta Mescolanza di Bene e Male

Lo spettacolo si apre con un prologo sallustiano che presenta la crisi economica, sociale, politica e istituzionale che seguì alle guerre puniche e alle conquiste mediterranee; a esporlo sono due giovani (Matteo Anselmi e Stefano Fiorillo) che in seguito vestiranno anche i panni di Cesare e Catone l’Uticense. Il sunto dei passaggi cronologici è chiaro ed efficace, basta poco per calarsi completamente nel ruolo di spettatore partecipe dei fatti, immaginandosi seduti su quegli antichi scranni. Ed ecco il celeberrimo ritratto di Catilina tratteggiato da Sallustio: un uomo in cui si mescolano fascino e turpitudine, un corpo vigoroso in grado di sopportare la veglia, il freddo e la fame, un animo audace e subdolo, esperto nell’arte della dissimulazione e abile nel circuire i giovani, sempre circondato da chiunque si sia reso colpevole di qualche scelleratezza. È l’indimenticabile cattivo che s’imprime nella memoria, ammaliando le menti con il suo oscuro charme. Cicerone lo attacca – quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? – e lui, sdegnoso, resta seduto nell’ombra, distogliendo lo sguardo, impeccabile immagine del diabolico pensatore dall’incrollabile forza d’animo. Quando si alza emergendo delle tenebre, si resta col fiato sospeso: Luciano Caratto perfora la divisoria parete spazio-temporale, risvegliando dal torpore non solo gli immaginari destinatari della sua esortazione, ma anche noi inconsci protagonisti di un momento topico, ed è irresistibile il richiamo della libertà, della fine di un’ingiusta sopportazione durata troppo a lungo, quel richiamo che nella veemenza carismatica dell’oratore diventa il simbolo di una rivoluzione chimerica.

una immagine di Luciano Caratto su Le Catilinarie: la Violenta Mescolanza di Bene e Male

Il calore, la rabbia e l’orgoglio emanati dalla sua voce rivestono il discorso di un’esoterica sacralità, seppur drammaticamente materiale e palpabile: è la notte tra il 6 e il 7 novembre, prende forma il progetto del colpo di stato. Un mese dopo, Cicerone avrebbe condannato a morte i congiurati, arrestati dopo aver raccolto prove sufficienti: è il momento in cui Cesare e Catone si fronteggiano per deplorare o appoggiare l’ardito provvedimento, è l’incrollabile scontro tra moralità e senso del dovere. Comincia la discendente parabola della tensione, la vicenda si smorza in tinte più soffuse. Catilina ha ancora un ultimo confronto con i suoi soldati, poi tace, ed è solo il resoconto della battaglia a tratteggiare la sua fine, misera e gloriosa allo stesso tempo: un cadavere ritrovato in mezzo ai tanti altri, ma fiero in volto così com’era nella vita. Tutto viene avvolto dalle tenebre, solo una luce inonda Cicerone, ma facendosi anch’essa sempre più debole, quasi a voler prefigurare una sorte che non perdonerà nessuno. E noi tiriamo la testa fuori da questo paiolo storico, accorgendoci che il varco si è ristretto: alcune parole di Sallustio sono simili a quelle di Tucidide quattrocento anni prima, ma non sono nemmeno così diverse da quelle lette su un quotidiano odierno (è una battuta dello spettacolo che si stacca per un attimo dalla finzione scenica per rivolgersi a noi in tutta la sua ironia).

Nell’immagine di copertina: Cicerone pronuncia in Senato la prima Catilinaria – 1880, affresco di Cesare Maccari; Roma, Palazzo Madama, Sala Maccari

Le Catilinarie

Scritto e diretto da Piero Nuti

con Piero Nuti, Luciano Caratto, Matteo Anselmi, Stefano Fiorillo

Produzione: Compagnia Torino Spettacoli

Torino, Teatro Erba, dal 16 al 21 ottobre 2012


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