Le ceneri di Pirandello
di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
Mi resi subito conto che era la Fine nel momento in cui Pirandello esalò l’ultimo respiro. Il Drammaturgo era morto nella convinzione che dopo di lui milioni di esseri umani avrebbero comunque dato vita ad altrettanti personaggi a favore del palcoscenico, dell’Arte. Si sbagliava. Non è però sua la colpa. Non poteva immaginare che la sua morte coincidesse con la l’annullamento totale e assoluto dello spazio, del tempo.
Il sipario, del tutto calato, ha preso fuoco in un niente, un niente rosso e infernale di mille lingue.
In fondo alla sala restavo sol più io, l’ultimo personaggio ancora non divorato dalle fiamme.
Sapevo che non c’era un’uscita di sicurezza, perché il Drammaturgo non ne aveva mai fatto accenno nelle sue pièces. Con me sarebbe scomparso l’ultimo suo personaggio, l’ultimo uomo e l’ultimo autore in cerca d’un editore.
Sono stato io ad appiccare il fuoco.
Ho acceso un fiammifero, uno di quelli con la capocchia rossa e grossa.
E l’ho gettato in aria, senza curarmi di dove sarebbe caduto.
L’ho fatto perché Pirandello ha scritto il mio Fato con la sua infallibile mano. Voleva esser cremato. Voleva che di lui rimanessero solo le ceneri: “Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi.”
Ho obbedito.
E’ bastato un singolo fiammifero lanciato nel vuoto del teatro perché il mondo venisse divorato, ridotto a quello ch’era stato da ben prima che il Drammaturgo gli desse vita e sostanza. Non è però sua la colpa. Non è sua.