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Le chiacchiere da bar con l’amplificatore

Da Gianluca Dotti @Gianluca_Dotti
Le chiacchiere da bar con l’amplificatore

Ovvero Twitter e il (non) giornalismo.

Centoquaranta caratteri per raccontare una storia: impossibile.

Centoquaranta caratteri per dare una notizia: ci sta.

Centoquaranta caratteri per esprimere un'opinione: io non ce la faccio, non so voi.

Due settimane fa ero a un convegno di giornalisti a Rimini, e un manipolo di professionisti seri, di quelli vecchia scuola per intenderci, sosteneva che Twitter non fosse altro che il luogo della rete dove hanno trovato casa le chiacchiere da bar. Con la piccola differenza che una volta delle tue idee ne parlavi con gli amici di quartiere - o di scuola o di squadra - e i pensieri passavano e scorrevano veloci, giusto qualche onda acustica che colpiva il timpano di chi era nei paraggi, e finiva lì. Oggi, invece, se hai un pensiero a caso e sei un nerd-high-tech, lo metti su Twitter. Per iscritto. Visibile a tutti.

Il risultato? Sui social network ci trovi di tutto e di più, pensieri seri e considerazioni a casaccio. Opinioni valide e abominevoli eresie. Ma la rete è democratica, e come tale mette tutti sullo stesso piano, tanto Beppe Severgnini quanto un premio Nobel per la fisica e quanto il pazzoide di turno che scrive cose di cui non sa nulla ma che trae piacere nel dar aria ai denti... Anzi, nel far ticchettii con le dita sulla tastiera.

Che poi esprimere un pensiero chiaro in 140 caratteri è un'impresa ardua, una sfida degna delle migliori penne (leggi: tastiere). Centoquaranta caratteri non sono fatti per argomentare pensieri complicati, non c'è niente da fare. Sarebbe come discutere con otto secondi a testa per parlare. Non ce la fai. Rassegnati.

Su Twitter dai una notizia, fornisci un dato, segnali un link, lanci uno slogan, dai un'informazione di servizio, ci pubblichi la citazione strafiga che hai letto/sentito o la frase geniale che hai partorito in un momento di ispirazione. Ma le riflessioni serie sono un'altra cosa.

Non è che se scrivi #Dante è come se avessi letto la Divina commedia, non è che se leggi #Higgs hai capito cosa sia l'omonima particella, non è che se usi l'hashtag giusto sei un guru dell'argomento.

Se la rete ti dà la possibilità di condividere qualcosa con tutto il mondo, non è una buona ragione per farlo senza cognizione di causa. Allo stesso modo non è una buona idea prendere seriamente tutto quello che si trova pubblicato, non è che bisogna credere a ogni cosa.

Perché poi magari se leggi le cose solo su Twitter finisci per credere che il metodo Stamina di Davide Vannoni sia una cosa seria, visto che lo dicono in tanti. O magari che la Apple sia organizzando un complotto mondiale per dotare di iPhone ogni essere umano e controllarci tutti.

Del valore e della qualità di quel che si legge in rete si è parlato lo scorso weekend anche a CultVenezie, il salone europeo (?) della cultura. In sintesi: i contenuti vanno filtrati, e il filtro deve emergere in base alle individualità che dimostrano di essere voci competenti, serie e affidabili. E, aggiungo io, che su Twitter ci mettono la faccia.


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