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Le “Chiangimorti”

Creato il 22 maggio 2013 da Cultura Salentina

Le “Chiangimorti”

22 maggio 2013 di Vincenzo D'Aurelio

prova

La prefica

Si nu’ chiangimorti!

E’ questa l’espressione tipica nel Salento che si usa, riprendendo la figura di quelle donne luttuose e urlanti che si vedevano sino al secolo scorso durante i funerali, quando si vuole indicare una persona particolarmente lagnosa. Queste chiangimorti o prefiche, quando qualcuno moriva, erano chiamate nella casa del defunto per piangerlo e sedevano di fronte alla bara e al fianco dei parenti.  Generalmente si trattava di una coppia che era pagata per il servizio svolto e perciò, non raramente, malgrado dimostrassero tanto dolore per la perdita del caro estinto, il più delle volte lo conoscevano a malapena.

La figura della prefica (lat. praefica = piangere davanti) può apparire, alla luce della cultura contemporanea, alquanto bizzarra e frutto dell’ignoranza mentre, guardandola storicamente, si trova la sua presenza già in età classica (V-IV sec. a.C.) quando queste donne, con i capelli sciolti cantando lamenti funebri e lodi al morto, procedevano, assieme ai portatori di fiaccola, avanti al feretro nei cortei. Anche nella Bibbia, nel Libro dei Re, si parla di canti funebri come quello di Geremia per la morte del re Gioisia, o nell’Iliade quando Omero parla dei singhiozzi di Briseide sull’ucciso Patroclo e per questo, sarebbe quanto mai errato parlare delle prefiche solo come elemento del folklore meridionale.  Nel Salento le “chiangimorti” erano molto diffuse  e in particolare nella Grecìa salentina quale testimonianza di quel mondo greco che tanto donò a questa Terra. Il noto studioso dell’800 Luigi Maggiulli di Muro Leccese, impressionato sia dal gran valore folkloristico di questa figura e sia dalla grande espressività della tragedia che le prefiche mettevano in scena durante le veglie funebri, ne fece una descrizione “dal vero” e oggi, la sua lettura, ben fa intendere “l’alta qualità della disperazione” offerta in questo “servizio funebre”. Egli scrive:

due

Le prefiche in azione

«Qualche tempo fa, testimone ne fui in morte d’una donna che desolatissimo lasciava il marito. Due di queste prefiche dolenti nel volto e col capo chino, entravano nella stanza mortuaria e, viste giacer sulla bara la defunta, levarono un acutissimo grido. Una di loro piangendo il desolato marito con ritmica desinenza lodava la trapassata, rassomigliando l’accaduto all’urlo d’un furioso uragano che nei suoi trabalzi, piombando su d’una quercia, divelle, stritola e scompagna una cima dal tronco. L’altra, di risposta, dolorosamente con un compianto crudelissimo pregava la defunta a salutargli il marito già trapassato, rammentando i giorni trascorsi nell’allegrezza e nel tripudio, richiamando alla mente i pargoletti orfani figliuoli. Al nome di questi un urlo acutissimo e delle strida assordanti mandavan le donne qui congregate ed altre si abbandonavano sulla bara, altre si strisciavano ginocchioni per terra e altre si dischi amavano, finché, tutte piangenti, arruffate, livide e dolorose, colle mani conserte al seno contemplavano e guardando fisso il cadavere sul cataletto, esclamavano ad intervalli: Ahi! Ahi! Ahi!»(1).

Da questa cronaca e per la brevissima introduzione storica, esulando dagli aspetti sociologici che non sono meno importanti e fondamentali per comprendere appieno questo costume, è facile rendersi conto come una tradizione salentina, ritenuta così stramba e indegna di menzione storica, quale quella delle “chiangimorti”, sia invece un carattere preciso di quella cultura mediterranea, fenicia e greca in particolare, che nel Salento ancor oggi splende e caratterizza, a nostra insaputa, il nostro vivere.

(1) Il testo è stato da me adattato per una maggiore leggibilità.


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