In verità, ancor prima che il fecondo triangolo papato-giudicati-monasteri desse i primi frutti, il giudice di Torres, probabilmente Gonnario Comita, intorno al 1030 ingaggiò delle maestranze pisane per erigere, in un’area dov’erano presenti rovine paleocristiane, la prima e più maestosa basilica romanica, San Gavino di Porto Torres, consacrata nel 1080. Nel 1063, il suo successore Barisone inaugurò la colonizzazione monastica, stipulando un contratto con l’abate benedettino di Montecassino per la concessione di terre ed edifici in degrado siti nel territorio del giudicato, in particolare la chiesa paleocristiana di Santa Maria di Bubalis (Nostra Signora de Mesumundu) a Siligo. Negli stessi anni, anche il Giudice di Cagliari si rivolse ai monaci cassinesi per gli stessi motivi; successivamente, intorno al 1079, lo stesso giudice cagliaritano donò ai Vittorini di Marsiglia le proprietà di pertinenza della Basilica di San Saturnino, anch’essa da restaurare; tra queste pertinenze era contemplata la gestione delle saline cittadine. Dopo questi pionieri, arrivarono in tutti e quattro i giudicati monaci vallombrosani, camaldolesi e cistercensi; nel corso del XII secolo, la Sardegna fu protagonista di una straordinaria e originalissima fioritura dell’architettura religiosa, particolarmente nel giudicato di Torres e in misura minore nel resto dell’isola, con l’erezione di stupefacenti capolavori quali la SS Trinità di Saccargia, San Pietro di Sorres, San Pietro di Bulzi (tutte e tre caratterizzate dalle fasce bicrome alternate di calcare e pietra lavica, trachite o basalto), Nostra Signora di Tergu, San Pietro extra-muros di Bosa, San Nicola di Ottana e Sant’Antioco di Bisarcio a Ozieri. Sull’onda dell’intensa attività edilizia sovrintesa dai monaci, i giudici, autonomamente, decisero di dotare i principali centri dei loro regni di basiliche romaniche, come San Simplicio a Olbia, Santa Maria del Regno ad Ardara (cattedrale in cui fu celebrato il matrimonio tra l’ultima giudicessa di Torres Adelasia e il figlio di Federico II di Svevia, Enzo), la Cattedrale di Santa Giusta e San Pantaleo di Dolianova.
Accanto all’architettura religiosa, i monaci furono artefici di una fiorente attività economica e sociale, arrivando in breve tempo a gestire ingenti patrimoni. Altro fondamentale apporto dei religiosi fu la redazione dei cosiddetti Condaghes, registri delle attività dei diversi monasteri che diedero impulso alla ripresa della scrittura anche nelle amministrazioni civili dei giudicati. Il Romanico sardo, pur manifestatosi in edifici di medie e piccole dimensioni, deve il suo prestigio alla varietà e originalità degli stili, conseguenza delle diverse origini delle maestranze (Pisa, Lombardia, Genova, Marsiglia, ma anche autoctone e spagnole arabizzate) e delle diverse tipologie di pietre utilizzate, rispecchianti le differenti nature geologiche dei rispettivi territori.
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