“Le coincidenze” di Ivan Polidoro

Creato il 10 giugno 2011 da Sulromanzo

Occuparsi delle piccole cose di tutti i giorni spesso chiama retorica, soprattutto se a farlo è uno scrittore, un regista o un pittore. Di solito ad occuparsi di quotidianità spiccia sono le cartomanti o i parenti stretti dell'abitudinario mediocre o il macellaio. Ivan Polidoro, sceneggiatore, attore e regista nel suo romanzo d'esordio riesce a non cadere nel pathos di provincia perché sembra scrivere della normale esistenza dei suoi protagonisti mentre li osserva. Ben lontani dalla presunzione di uno sguardo lucido, gli occhi dell'autore sono invece commossi ma con garbo e delicata riservatezza. E senza pudore.

Ne Le coincidenze (66thand2nd, 2011) troviamo l'Italia di questi nostri anni rappresentata da una serie di personaggi appiattiti nella banalità di una vita dove ben poco accade e dove nulla cambia, all'infinito. Il pugile Rocco aggrappato ai suoi sogni di gloria, una donna annientata dalla scelta del figlio di farsi prete, un bambino ciccione che si riempie di crema pasticcera, un operaio la cui vita somiglia alle sue otto ore in fabbrica, una prostituta per scelta, Martina che muore per una pallina da tennis. I protagonisti di queste storie, legati da sottili coincidenze, passano i giorni stravaccati sul divano, annoiati sul balcone, in amori squallidi, con le tapparelle abbassate e i giorni sfiorati da gratificazioni di sopravvivenza.

“Appena c'era un buco, correvo a prendere qualcosa. Non era importante cosa, bastava che uscivo da lì. Il balcone s'era fatto piccolo. Andavo solo per il latte, solo per il pane, solo per questo solo per quello. Una cosa alla volta. Uscivo per dimenticare, ammesso che ci si riesca, uscivo lì dove non c'era niente, se non una strada e una rotatoria, e contavo i passi fino al supermercato, contavo le persone, le macchine, i motorini, contavo per non piangere, per non far sciogliere il trucco.”

La bellezza di questo romanzo, strutturato in brevi capitoli, sta proprio nella perfetta armonia tra le esistenze semplici dei protagonisti e la misura dello sguardo di Ivan Polidoro. Bastava poco e la narrazione sarebbe potuta scivolare nella solita questione di miseria e provincia, realismo e denuncia, vite umili e assenza di riscatto. Il rischio era alto per Le coincidenze: ambientato tra Napoli, Milano e provincia torinese, abitato da creature dall'esistenza totalmente attesa, lo sport come legante della narrazione, non ci voleva davvero nulla per inciampare nei soliti drammi pacati da neorealismo italiano in cui le ingiustizie vengono fatte sbollire sul solito campetto da calcio di periferia.

Ma così non è stato; una certa grazia nella consapevolezza dell'autore ha lasciato che le cose accadessero senza troppe interferenze, nessuna spinta in direzione desiderio, nessun oltraggio alla normale mediocrità di queste vite, gli occhi dello scrittore che si posano con discrezione sono un piccolo gesto mistico.

“Ma alla fine è andata che il vecchio è morto, il figlio lo ha seppellito degnamente, poi s'è seduto sulla poltrona della direzione, ha tolto la fotografia del padre e c'ha messo quella della madre, e alla fine ha tolto pure quella. “

Nulla di scandaloso, accade quando la vita è strutturata in un cliché e non ha guizzi. Non sempre l'assenza di scintille è causata dalle sfortune della vita, alcuni dei protagonisti de Le coincidenze di grandi salti non ne vogliono fare, restano dove non accade nulla. È un piacere che si parli anche di questo, di vite normali che devono essere normali, di bambini ciccioni, di donne insoddisfatte, di allenatori romantici, di uomini abitudinari. La mediocrità non è un'ingiustizia, c'è.

“Sto a casa, stravaccato su una poltrona di pelle nera, di quelle con l'appoggio per i piedi. Non è bella, ma è comoda. Per me, che ormai col grasso ci convivo, è l'ideale. Mi metto qui, accendo il televisore, sorseggio una birra, e aspetto.”


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