di: Thierry Meyssan
Nel classificare l’ala militare di Hezbollah “organizzazione terroristica”, la UE manifesta la sua incapacità di capire la Resistenza libanese
Il documento ufficiale è stato accompagnato da una dichiarazione comune del Consiglio e della Commissione che sottolinea che tutto ciò «non impedisce il proseguimento del dialogo con tutti i partiti politici in Libano né influenza la fornitura di assistenza a questo paese». Questo commento mira a esplicitare la distinzione tra il ramo civile e quello militare di Hezbollah, che consente all’Unione europea di discutere con il primo pur condannando il secondo.
Nella stessa ottica, l’ambasciatore dell’Unione europea, Angelina Eichhorst, è andata a visitare il responsabile delle relazioni internazionali di Hezbollah, Ammar Moussawi, per dirgli che questa decisione non cambiava nulla nelle loro relazioni.
Il problema è che questa decisione non ha senso.
Nascondere l’aspirazione mistica di Hezbollah
In sostanza, Hezbollah non è un partito politico, bensì una rete di resistenza contro l’invasione israeliana, costituita da famiglie sciite sul modello dei Basiji iraniani, dei quali ha adottato la bandiera (in giallo). A poco a poco, la resistenza ha incorporato i non sciiti in una struttura ad hoc, e si è sostituita alla totale inadempienza dello stato libanese, tanto per aiutare le famiglie dei feriti e dei martiri, quanto per ricostruire il Sud il paese, totalmente raso al suolo dall’aviazione israeliana. Questa evoluzione l’ha portata a presentare candidati alle elezioni e a partecipare al governo.
Il suo segretario generale, sayyed Hassan Nasrallah, ha ripetutamente espresso la sua riluttanza di fronte alla politica, che per lui è soltanto un’attività corruttrice. Al contrario, ha colto ogni occasione per riaffermare il suo ideale: morire da martire sul campo di battaglia, come il suo figlio primogenito Muhammad Hadi, seguendo così le orme dell’imam Hussein nella battaglia di Karbala.
In sostanza, Hezbollah è il frutto di un approccio mistico e non può essere paragonato a un partito politico europeo. I suoi soldati non hanno nulla da guadagnare combattendo e hanno da perdere la vita. Si lanciano in guerra, perché la loro causa è giusta, ed è un’occasione di sacrificio, ossia di sviluppo umano. Questo era il senso della rivoluzione dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, ed è il loro.
Nonostante l’ambiguità che si origina dalla traduzione del suo nome, Hezbollah, in “Partito di Dio”, questa rete non è una formazione politica né intende diventarla. Il suo nome, estratto dal Corano, campeggia sulla sua bandiera: «Chiunque prenda per alleati Dio, il Suo Messaggero e i credenti, [avrà successo], perché sarà il partito di Dio ad essere vittorioso.»
Si deve qui comprendere l’espressione “Partito di Dio” nel senso escatologico: è in definitiva Dio che trionferà sul male alla fine dei tempi.
Stranamente, gli europei – che in maggioranza considerano come un risultato democratico acquisito la separazione tra il potere temporale e quello religioso – rimproverano dunque a Hezbollah la sua essenza spirituale e vogliono “normalizzarlo” in partito politico. Nel loro spirito, ai resistenti libanesi non dovrebbe riguardare la colonizzazione della Palestina né quella della Siria. Farebbero meglio a prendersi cura delle loro carriere politiche che rischiare la propria vita in battaglia.
La decisione del Consiglio europeo sarà di scarso significato pratico. Essa consiste soprattutto nel vietare ai membri dell’«ala militare» di viaggiare nell’Unione, e congela i loro conti bancari: ma non si capisce perché dei clandestini che lottano contro le potenze coloniali sarebbero andati ad aprire conti bancari presso di esse.
Perché dunque tutto questo polverone? L’iscrizione di Hezbollah nella lista europea delle organizzazioni terroristiche è una vecchia pretesa di Tel Aviv, sostenuta dall’Impero anglosassone. È uno sforzo di comunicazione volto ad affermare che i “Buoni” sono gli israeliani e i “Cattivi” coloro che rifiutano di farsi rubare la loro terra. La pretesa è stata presentata dal presidente israeliano Shimon Peres ai governi dell’UE, poi al Parlamento europeo, lo scorso 12 marzo. È stata portata al Consiglio europeo dagli ministri degli esteri britannico e francese, William Hague e Laurent Fabius. Vi si sono aggiunti i colleghi olandesi e austriaci, Frans Timmermans e Michael Spindelegger, dopo una forte mobilitazione dei sionisti statunitensi, tra cui l’ex governatore della California, Arnold Schwarzenegger.
Nascondere il fallimento israeliano in Argentina
C’era un’urgenza ad agire, per gli operatori della comunicazione israeliani. In effetti, dal 1994, hanno accusato Hezbollah e l’Iran di aver fatto saltare in aria l’edificio dell’Associazione Mutualità Israelita Argentina di Buenos Aires, uccidendo 85 persone. Questa versione dei fatti è presentata come una certezza in molte enciclopedie e libri di testo scolastici. Tuttavia, la giustizia argentina l’ha rimessa in discussione da anni. Nel gennaio 2013, l’Argentina e l’Iran hanno istituito un comitato di avvocati indipendenti per fare luce. Fin d’ora, sembra che l’attacco sia stato una macchinazione dell’ex ministro dell’Interno, l’israelo-argentino Vladimir Corach.
Dal momento che questo caso non regge, Tel Aviv ha accusato Hezbollah e l’Iran di aver fatto saltare un autobus israeliano in Bulgaria, uccidendo sette persone (tra cui un attentatore suicida), il 18 luglio 2012. Inizialmente, il governo di centrodestra bulgaro aveva ritrasmesso l’accusa, prima di essere contraddetto dal suo successore di centrosinistra. Indipendentemente da ciò, per il Consiglio europeo, Hezbollah è politicamente l’autore di un attacco sul territorio dell’Unione pur non essendolo sul piano giudiziario.
In generale, Israele accusa Hezbollah di aver pianificato e talvolta eseguito una ventina di attentati contro i civili in tutto il mondo, in 30 anni, il che toglierebbe giustificazioni alla Resistenza.
Anche in questo caso, molto stranamente, gli europei – che considerano la presunzione di innocenza come un’acquisizione democratica – condannano il sospetto ancor prima che sia giudicato, o addirittura incriminato.
Nascondere il fallimento europeo in Siria
Nel merito, non è sfuggito a nessuno che la vera novità in questo caso non vi appare: è l’intervento di Hezbollah nella guerra in Siria. Dal momento che noi tradiamo il nostro impegno volto a rovesciare il presidente Bashar el-Assad, almeno portiamo il nostro sostegno ai “ribelli” condannando Hezbollah, si pensa in quel di Bruxelles. È questo l’argomento che, a quanto pare, ha fatto vincere l’approvazione della decisione del Consiglio europeo. Al contrario, tutto ciò dimostra l’incapacità dei britannici e dei francesi a far forza più a lungo su un conflitto da essi consapevolmente scatenato per impadronirsi della Siria sventolando la bandiera della colonizzazione, che è diventata quella dell’Esercito siriano libero.
Soprattutto questa condanna ha il merito di chiariregli schieramenti: da un lato la resistenza all’oppressione coloniale, dall’altro le potenze colonizzatrici.
Se l’atteggiamento britannico non è sorprendente, poiché il Regno Unito rivendica il suo status coloniale, lo è di più per quanto riguarda la Francia, che ha alternato nella sua storia periodi rivoluzionari e imperiali.
Così, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, adottata nel 1789, stabilisce all’articolo 2 quattro diritti fondamentali, tra cui la «resistenza all’oppressione». È su questa base, nel 1940, che Charles De Gaulle si oppose all’armistizio tra la Francia e il Reich nazista, prendendo la testa della resistenza.
Al contrario, nel corso degli anni Ottanta dell’Ottocento, Jules Ferry incarnò l’espansione francese desiderata da una fazione del padronato che in essa prevedeva un rendimento molto migliore per i propri investimenti che in Francia, nella misura in cui era il contribuente e non tale fazione a pagare l’esercito coloniale. Per irreggimentare il paese, Ferry rese la scuola pubblica gratuita e obbligatoria. Gli insegnanti, definiti gli «ussari neri della Repubblica» dovevano convincere i giovani a prestare servizio nelle truppe coloniali. Ed è sotto gli auspici di Jules Ferry che l’attuale presidente francese, François Hollande, ha collocato lil suo quinquennio.
Se la Francia moderna è Charles De Gaulle, avrebbe potuto essere Philippe Pétain; un maresciallo ragionevole che considerava la sottomissione al Reich vittorioso in proporzione più desiderabile giacché vi vedeva un modo per farla finita con l’eredità del 1789. È sicuramente troppo presto perché le élites francesi lo riabilitino, ma condannare la Resistenza libanese è come condannare a morte una seconda volta Charles De Gaulle per terrorismo.
In definitiva, gli ideali che hanno fatto la gloria della Francia sono oggi meglio difesi a Beirut che a Parigi.
Traduzione: Matzu YagiFonte : Megachip