Che cosa significa essere "felici"? Non voglio addentrarmi in un ginepraio stucchevole di buonismo e filosofia spicciola. Ma lasciatemi dire che la "felicità" è la misura dell'estetica della vita. E ogni estetica è condizionata e influenzata dai tempi in cui si trova. Non esiste un bello assoluto, come non esiste una felicità assoluta. Dunque riformulo la domanda più correttamente. Che cosa significa essere "felici" oggi? Quali sono i parametri con i quali le persone misurano il proprio grado di raggiungimento della felicità?
Naturalmente questo varia in base alle proprie attitudini e alle proprie esperienze, ma esiste una "felicità sociale", intesa come una "felicità media" statisticamente intesa. In altre parole: la maggioranza degli individui pensa che la felicità consiste in [xxxyyyzzz]. Qualsiasi cosa vi vada di scrivere tra le parentesi, poche sono innate, molte invece sono acquisite, anche se il più delle volte non ci se ne accorge. Forse, meglio, più che "acquisite", si dovrebbe dire, nella maggioranza dei casi, "manipolate". Difatti, pur contando le proprie personali inclinazioni dettate dalla personalità di ognuno, per il resto è la società a programmare le felicità, stabilirle e legittimarle nella forza ambivalente della condivisione e della competizione popolare. E lo può fare tanto meglio, quanto più ha a disposizione mezzi invasivi e ripetitivi, che mettono in campo messaggi lusinghieri e seducenti. Il tutto fin dalle più tenere età, quelle in cui le tavolette di creta sono ancora belle morbide, vellutate, perfette per essere incise.
Dunque quali sono i modelli di felicità che i giovani - ma non solo - sviluppano e fanno propri oggi? Quella felicità intesa come insieme di ambizioni e aspirazioni che costruiscono il concetto di soddisfazione e di realizzazione di sé? Quali sono i canali che veicolano i parametri della felicità e i modelli che ne attestano i valori? Mila Spicola si chiedeva qualche giorno fa sull'Unità: «Come lo spiego in classe a un 14enne che non è bello essere Ruby...» Non è forse questa la ragione (ultima, ovvero la prima) del fallimento della politica di cui parlavamo nel post precedente, perché è anche la ragione del fallimento di una società intera, e pertanto quello su cui - prima di ogni altra cosa - bisognerebbe cominciare ad agire?