Consiglio caldamente di leggere le “Le correzioni“, romanzo del 2001 del novelist americano Jonathan Franzen, a tutti i figli over 25 e a tutti i genitori over 60. Allo stesso tempo, sarebbe meglio che genitori over 60 e figli over 30 evitassero di leggere questo libro.
In altre parole: che siate figli o genitori, leggerete “Le correzioni” a vostro rischio e pericolo.
Franzen è un chirurgo simpatico, ma un po’ sadico. Prende una tipica famiglia americana del midwest (Enid, madre casalinga. Alfred, padre ingegnere in pensione. Due figli maschi – Gary, il padre di famiglia e Chip, lo scavezzacollo. Denise, fragile donne di successo) e con lucidità ed ironia inizia a sezionarla e a mostrarci tutti i dettagli, anche quelli più nascosti, anche quelli più disgustosi. Disgustosi perché sono quei particolari che non pensavi rientrassero nell’orizzonte della tua esperienza famigliare, e invece li ritrovi nelle parole di Franzen e pensi: “Ma guarda: quella è mia madre, quello è mio fratello, quello lo fa anche mio padre, così è come mi comporto io“.
Un Tolstoj del XXI secolo potrebbe riscontrare, come Franzen, una certa somiglianza nel catalogo di disgrazie delle infelici famiglie moderne. Questo perché la sempre maggior competizione tra le diverse generazioni (nel mondo del lavoro, nella definizione dei valori, nella società), ha trasformato i nostri salotti in vere trincee, dove figli e genitori combattono per affermare il proprio ruolo e i propri bisogni: da un lato i figli, alla disperata ricerca di un’autonomia (non solo economica) sulla propria vita e sulle proprie scelte; dall’altro i genitori, che, dopo aver vissuto da protagonisti gli anni del boom economico e del progresso, non vogliono essere messi da parte, vivendo ogni concessione alla libertà dei figli come un passo verso l’inesorabile momento in cui dovranno cedere il passo alle nuove generazioni.
Ci sono delle fasi alterne precise in questo guerra di posizione che dura tutta la vita, e Franzen le presenta con chirurgico compiacimento su un lucido tavolo operatorio: i giovani genitori che delimitano l’orizzonte dell’universo dell’infanzia dei figli, ristringendo però gradualmente il loro; i figli che diventano adulti cercando di delineare una propria personalità che sia autonoma da quella dei genitori; il ribaltamento finale, quando gli anziani genitori diventano figli, e i figli adulti diventano genitori.
In ogni momento di questa guerra fredda, tutti cercano di apportare delle “correzioni” a se stessi o di imporle agli altri: sgridando i bambini disobbedienti, cercando di plasmare la propria vita di figli adulti in modo da non ripetere gli errori compiuti da nostri genitori, e, infine, sforzandosi di diventare figli migliori, superando le opposizioni, perché la vita scorre e ad un certo punto è ora di riporre le armi e di accettarsi (se stessi e gli altri) per quello che si è.
I protagonisti de “Le correzioni” sbagliano, perseverano nei propri errori in modo del tutto insensato, tentano di correggersi con più o meno successo e a volte riescono a cambiare la propria vita per il meglio, o, se non altro, a trovare accettabili compromessi. La morale (se così vogliamo chiamarla) dolce-amara del romanzo sembra insegnarci che raramente genitori e figli riescono a rimediare ai propri errori, e che una volta diventati adulti è ancora più difficile riuscire davvero a cambiare se stessi e il rapporto che abbiamo costruito con gli altri in anni di distratta convivenza.
Ciò nonostante, la famiglia regge. Non tanto come istituzione, ma come patto solidale indiscutibile tra individui, la famiglia rimane un punto di riferimento a cui non possiamo sottrarci e in cui, soprattutto, potremmo sempre rifugiarci.