Magazine Diario personale

Le cose assurde che cambiano la vita

Da Dallomoantonella

Difficile negare che i giovani, oggi, vivano con l’assillo di molti problemi. Per loro fortuna sono almeno dispensati  da una cosa che toglieva la serenità a quasi tutti quelli del mio tempo: il servizio militare. Inutile farne la storia ed elencare i suoi (pochi) benefici e i (tanti) disagi.  Quando fu il mio turno ero già grandicello e questa cosa aggravava il malumore nell’avvicinarmi ad esso. Tutti coloro che andavano all’Università, infatti, avevano il terrore di doversi sottoporre, a 25/26 anni, al nonnismo idiota di ragazzini dementi che magari appena 18enni, spesso, manco avevano la proscienza elementare. Mi sembrò così di sognare quando scoprii che avrei potuto farlo, invece, con relativa facilità come ufficiale di complemento in Guardia di Finanza.  Detta facilità consisteva nel fatto che i posti erano riservati unicamente a laureati in economia o giurisprudenza e questo tagliava fuori una marea di gente. Soprattutto però,  l’esame per entrare era solo per titoli. Nessun esame. In altre parole contava unicamente il voto di laurea. Per quelli come me, con la lode, l’accesso in accademia era, quindi, di fatto, matematico. Si trattava solo di superare delle prove fisiche e dei test psico-attitudinali. Insomma una pura formalità.

Si. Per gente normale.

Non per un Minus Habens come sono io.

Perché io, se ho una qualità, è quella di incasinare le cose semplici. In quello sono un vero asso. E’ più forte di me. C’è chi nasce con il pollice verde, chi pescatore, chi giocatore di calcio. Io nasco testa di cazzo. Sopraffina, è vero, ma questo non è per niente consolante. Non so, davvero. Credo che sia una specie di cromosoma sbagliato, quello che mi impone di andare a cacciarmi in toboga di merda dai quali ne esco sempre, immancabilmente, ammaccato.

Le prove fisiche furono in effetti una cosa ridicola. Il test psico-attitudinale lo sarebbe stato se solo avessi dato retta al buon senso del buon padre di famiglia che avevo pure studiato negli esami di diritto. C’erano un centinaio di domande volte a comprendere lo stato psicologico del candidato. Era del tutto evidente che avevano bisogno di pezze di appoggio per dimostrare che i futuri ufficiali fossero delle persone quanto meno equilibrate.  Era composto con delle frasi lasciate a metà e noi dovevamo finirle aggiungendo il nostro pensierino. Cose del tipo: “Le persone alle quali voglio più bene nella vita sono…….”, oppure “Se incontro due individui per la strada che litigano io……” e via di seguito. Mentre stavo pensando all’enorme perdita di tempo e alla noia che mi era presa, inserendo pensierini dementi sul fatto che “se faccio un incidente stradale….farò  di tutto perchè si possa  compilare amichevolmente il Cid”, mi imbattei in una frase che mi fece profondamente incazzare. Proprio dentro.

Era questa (giuro su qualsiasi cosa) :

“Merita di morire chi………..”

Andai in bambola. A  quel tempo non ero in grado di gestire bene la rabbia. Non che oggi sia diventato un maestro, ma allora era peggio. Molto, molto peggio. Lasciai lo spazio bianco e finii tutti gli altri pensierini. Mancavano ancora quaranta minuti alla consegna. E per quaranta minuti mi sono logorato nel pensare cosa scrivere che non fosse una cosa che andasse contro i miei principi. Alla fine presi la decisione: feci un rigone con la penna sopra quella cosa e scrissi “Vergognatevi: secondo me, nessuno merita di morire”. E consegnai. Dovevamo aspettare il responso. Gli idonei sarebbero stati lasciati uscire subito, i rimandati avrebbero fatto anche gli orali. Inutile dire che fui rimandato. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere in vita mia. Non una bella sensazione. Il peggio però doveva ancora venire. L’esame orale era davanti a un capitano e a uno psicologo. Mi fecero sedere e mi mostrarono il  ”compito” che avevo consegnato e il capitano mi disse:

“Ma si rende conto cosa ha fatto?”

Ora. Ecco. Brutto testa di minchia. secondo te? – pensai. Mi limitai solo a rispondere: “In effetti, lo ammetto, il rigone è venuto storto. Mi scusi”

Mi massacrò. Una serie di contumelie difficili da incassare. Lo psicologo accanto a lui, guardava da un’altra parte, credo per l’imbarazzo e spero, vergogna. La voglia di saltargli addosso era tanta e, forse, chissà,  fosse ciò che voleva. Rimasi zitto. Mi ricordai che mia madre mi aveva insegnato, da piccolo, che una bocca zitta ne zitta cento. Non dissi una parola. Continuò dicendo che non era importante cosa pensavo, ma solo che ubbidissi. Non importava se ero a favore o contro la pena di morte dovevo solo rispondere e ubbidire. Cancellando la frase era, per lui, come se avessi fatto un colpo di stato. Ero diventato un pericoloso sovversivo. Mi ero messo contro il sistema. Se ci penso oggi mi viene da ridere ma in quel momento schiumavo rabbia.

“Lo ammetta Masticone, lei è un anarchico di merda. Lo dica chiaro. Mostri coraggio una volta e non si nasconda come fate sempre voi altri” . Era troppo.

“Solo se lei ammette che sarebbe voluto entrare nei Parà della Folgore che però l’hanno scartata ed è venuto qua a selezionare solo uomini che le assomigliano”

Diventò rosso come un peperone. Lo psicologo spostò dietro la sedia e, non visto dal capitano, mi faceva segni di star zitto e non dir niente. Come a dire “non ti preoccupare, poi dopo ci penso io”.

Ci pensi te un cazzo, stronzo.

Il capitano urlò: “poteva scrivere che merita di morire chi tradisce la patria, chi ammazza i genitori, chi stupra bambini, chi sta male e non può guarire, un animale ferito perché non soffra più, una gallina per farci il brodo, il maiale per mangiare il prosciutto, persino chi non crede in Dio, ma doveva rispondere”

“Chi non crede in Dio???????” feci “ma lo sa che le Crociate sono nate per via di persone intolleranti come lei?”

La discussione si spostò allora  sul ruolo delle Crociate. Lo psicologo con le mani tra i capelli. Io e quel coglione a discutere se le crociate fossero state giuste o sbagliate. Alla fine mi urlò che non mi avrebbe escluso solo perché sapeva che, con tipi come me avrebbe avuto solo che da rimettere, perché avrei impugnato l’esclusione e ci sarebbero stati ricorsi e contro ricorsi e un frocetto  come me non aveva niente da perdere ma lui si.

Amen.

Pensai che fosse finita là. Ma scordai una cosa che tutti gli ebrei sanno sin da quando hanno l’età della ragione. Gesù, infatti, sarà stato pure l’uomo più buono della Storia, ma suo padre però, eh beh, come dire,  è si, suo padre è un tantinello vendicativo, ecco. Insomma, quella cosa delle Crociate con cui avevo argomentato, mi sa che proprio non gli era andata mica tanto giù. E presentò il conto.

Per una sorta assurda e incredibile di coincidenze e di omissis che non sto a raccontare, molti mesi dopo, sia pur per un brevissimo periodo, fui assegnato sotto il comando proprio di quel tizio. Che, non solo si ricordò di me, ma decise di farmela pagare alla sua maniera. Fui assegnato a una scorta di un prigioniero, che doveva essere tradotto in un carcere.  Fatte le ovvie, dovute, proporzioni, mi sentii come quei tenentini imberbi che venivano mandati a combattere in Vietnam senza sapere un cazzo di ciò che poteva succedere. Feci l’unica cosa ragionevole che mi venne in mente. Presi il sottufficiale in carriera assegnato, uno scafato,  e gli dissi “Si fa come dice lei.”. Lui capì. Non dovevo essere il primo coglione a passare quelle forche caudine. Dopo che ebbe impartito tutte le disposizioni, ne dette una anche a me: “Mi raccomando signor Tenente, non dia nessuna confidenza”.

Non saprei ancora bene dire come ma, quel viaggio, è stata una delle cinque cose che mi hanno cambiato la vita. Se dovessi fare una lista lui sarebbe sicuramente dentro. Eppure non successe nulla. O, come invece mi piace pensare, tutto. Il tipo in questione era un pluri condannato. Una cosa di mezzo tra un terrorista e un mafioso, non ricordo bene.  Non ricordo nemmeno il suo nome. Il suo volto si, però. Il suo volto non lo scorderò mai. Ogni tanto torna a trovarmi persino di notte. Senza che parlassimo tra noi due si instaurò un rapporto. Non so dire meglio. Eravamo là dentro e senza dire una parola abbiamo parlato per ore. O forse era solo la mia immaginazione, non so. Ad un certo punto mi disse:

“E’ la prima volta vero?”

Lo guardai e non risposi. Non con le parole almeno. Nei suoi occhi c’era quel “qualcosa” che è stato poi ciò che mi ha cambiato. Potrei descriverlo in mille modi e lo stesso tutti non sarebbero sufficienti a rendere l’idea. Dirò allora solo che dentro di essi era stramaledettamente chiaro il disprezzo per la divisa che indossavo e il ruolo che ricoprivo, ma allo stesso tempo il grande rispetto per la mia persona. Sentivo che se avesse potuto avrebbe ammazzato l’ufficiale, ma salvato l’uomo. Lo so. Sono pazzo. Però questo è ciò che avvertii. Comunque non risposi niente e, lui dopo un altro po’, aggiunse:

“Ti dico una cosa…… Non ti ci abituerai mai”

Mi sembrò un complimento o qualcosa del genere. E credo avesse ragione. Fare il carceriere di altri uomini è, per me, contro natura. Non può esistere uomo, nella mia concezione di mondo, che possa davvero pensare di poterlo fare a lungo. Oppure, chissà, proprio la natura fa in modo che una piccola parte di noi sia predisposta davvero ad andare contro la sua specie. Io di sicuro no. So che verrò insultato per questo e mi scuseranno i secondini, ma prima di dover fare quel lavoro per campare, io andrei a rubare.

Poco prima del carcere gli chiesi:

“E tu ti ci sei abituato?”

Sembrava un duro. Uno di quelli con i quali è bene non avere a che fare. Ma sempre quel qualcosa nei suoi occhi mi rispose che no, nemmeno lui c’era riuscito ad abituarsi a vivere così. In una scatoletta. Quando entrammo dentro la galera avvenne la mia trasformazione finale. Successe quando sentii chiudermi dietro il grande portone e avvertii il senso di dove ero finito e  mi venne da vomitare. Una sensazione di panico totale. Di smarrimento. Di cattiva percezione della realtà. Dovetti correre in bagno e scatenai i risolini delle altre guardie che vedevano “il pischello” non avere gli attributi giusti per reggere il colpo. L’unico che comprese cosa provavo fu solo quell’uomo. Mi guardò a lungo mentre lo portavano dentro, stava cercando di farmi forza. Lui a me. L’unico che capiva cosa stavo provando. Ed era un carcere normale. Non uno di massima sicurezza.

Come è cambiata la mia vita? E’ che finito il servizio militare in carcere sono tornato. Come volontario. Molte volte. (a proposito si può pure donare il 5 per mille ad associazioni come AVOC, volendo…). E, anche se non ho più vomitato, quel senso di angoscia l’ho sempre provato. Ogni volta. Ogni singola volta che ho varcato la soglia tra la libertà e la cattività. Soprattutto ho compreso benissimo il perché  in carcere, si può impazzire o togliersi addirittura la vita. Ho sentito la percezione di disgusto verso gli altri e verso se stessi che regala una qualsiasi permanenza dentro una gabbia. Nessun uomo dovrebbe stare a lungo dentro una gabbia. E neppure nessun animale  e occorrerebbe abolire pure gli zoo, da subito.  Ho maturato molte forte dentro di me che, non solo, la pena di morte è una cosa assurda ma allo stesso modo è orrendo l’ergastolo. Condannare un uomo all’ergastolo è un abominio. Non importa cosa abbia fatto. E per far incazzare tutti aggiungo ancora che il 41-bis è l’abominio tra gli abomini. Che è tortura legalizzata. Che la sopportiamo perchè crediamo che non possa mai capitare a persone perbene. Ma gli occhi di quell’uomo, quel giorno, mi hanno fatto capire che possiamo disprezzare cosa hanno fatto e i loro ruoli nella società ma occorre salvare le persone. In carcere, per me, non ci sono persone malvagie, ci sono solo PERSONE. E basta. (Ed evito di parlare di Guantanamo e affini perchè non voglio essere bannato dagli Usa).

Non voglio tirar fuori Beccaria e il Panopticon di Bentham. Voglio dire che io mi incazzo profondamente quando sento che qualcuno dice: “Gli hanno dato solo dieci anni a quello”, oppure “Meritava molto di più”. Provate a starci una settimana in galera e poi mi dite. Il tempo è tutto ciò che abbiamo su questa terra e, fatti salvi i diritti della comunità di vivere in standard di sicurezza decenti, la stessa società ha il DOVERE di recuperare coloro che hanno trasgredito alle sue leggi, financo con delitti di sangue e comunque di fargli scontare la pena in condizioni umane. Ecco perchè la protesta di Marco Pannella è sacrosanta e perchè, essa, mi ha convinto a tornare a votare dopo quasi 15 anni e, come è sempre successo ogni volta che l’ho fatto (tranne una volta che votai l’Ulivo di Prodi per poi incazzarmi con D’Alema), voterò di nuovo per i RADICALI. Che sono teste di cazzo, voltagabbana e pezzi di merda ma che sono gli unici con cui mi sento davvero a casa. Oggi come allora, quando ero giovane e ci credevo davvero.

Perchè anche io, in fondo, sono proprio come loro.


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