Corriere della Sera e Isbn Edizioni presentano ‘Le cose cambiano’, una raccolta di storie contro la discriminazione, il bullismo, l’omofobia. Per superare la paura di non essere accettati e conquistare il diritto di essere se stessi. Il ricavato del libro sarà devoluto all’associazione non profit Girls and Boys, promotrice del progetto.
di Carlo Camboni
Driiiiin, ore 7 e 30!
Presto, presto! È ora di svegliarsi, andare a scuola e incontrare i compagni che ti chiamano “checca”, “finocchio”, “lesbica”!
Nel 2010 negli Stati Uniti un numero inusitato di studenti si suicida, tutti adolescenti vittime di atti di bullismo; Dan Savage, giornalista, e suo marito Terry Miller realizzano un video per youtube in cui tentano di rassicurare i ragazzi parlando della loro esperienza: “fidatevi di noi, non siete soli, le cose miglioreranno”; è stato come lanciare un sasso in uno stagno, liberare la voglia di parlare; dichiarare l’esigenza di non sentirsi più soli, raccontare il proprio coming out.
I video diventano presto centinaia: scrittori, artisti, qualche politico e addirittura il Presidente Obama che, con una telefonata dalla Casa Bianca, annuncia di voler partecipare all’iniziativa. Nascono un blog e un libro, un progetto innovativo capace di coinvolgere persone comuni e famose, religiosi e politici.
Grazie alla Fondazione Enel Cuore e il Corriere della Sera, Linda Fava ha curato l’edizione italiana del libro che si intitola programmaticamente “Le cose cambiano”, in vendita nelle edicole in abbinamento al Corriere della Sera (confesso che il mio edicolante mi ha concesso di comprarlo senza il quotidiano!)
L’idea geniale è stata quella di unire alle testimonianze del testo americano quelle di scrittori, artisti, bloggers e politici italiani – omosessuali, bisessuali, transessuali ed anche eterosessuali -, creando l’occasione per evidenziare similitudini e differenze tra la cultura anglo-americana e quella italiana e fare il punto sullo stato dei diritti civili in Italia, USA e Inghilterra, anche se il dibattito sembra svolgersi su piani completamente diversi: mentre in quasi tutto il mondo occidentale evoluto si discute di matrimoni e adozioni per tutti, si parla cioè di uguaglianza, in Italia è addirittura arduo approvare una legge anti omofobia e il dibattito rimbalza sul solito muro di gomma delle famiglie omofobe, dei comitati di genitori cattolici e altre simili delizie da menti italiote tutto casa, lavoro e amante anche a pagamento, purché trans, il fine settimana.
Insomma, se c’è una mitologia inattaccabile, monumentale e trasversale questa è l’omofobia, con tutte le sue genuflessioni, i baci di pantofola e gli officianti del caso.
Una cosa accomuna gli adolescenti di ogni parte del globo, la loro solitudine, accentuata da un immaginario fortemente influenzato dalla televisione e dalla rete internet: che sia una scuola americana con due palestre e un campo da tennis o una scuola italiana con infiltrazioni di umidità e carta igienica portata da casa perché si tagliano i fondi, i ragazzi sentono di non poter contare su genitori, amici, insegnanti e presidi.
A me pare chiaro quale sia il problema da affrontare: parlare di sessualità nelle scuole.
Dalle testimonianze del libro, interessantissime, emerge il desiderio di evitare di vivere la diversità come un fatto privato per non alimentare l’ipocrisia di una doppia vita, e quindi una doppia morale, dove l’identità è il labile risultato di una forzatura.
La sessualità non è un fatto privato: una qualsiasi discussione o il commento a un film, a un’opera d’arte, a un libro, determina l’espressione dei nostri pensieri e non vedo altro modo di comunicare i nostri gusti e le nostre preferenze se non quello di essere autentici fino in fondo, a meno che non ci si voglia rifugiare nella maschera buona per ogni occasione, nel tabù, nel vorrei ma non posso, quel si fa ma non si dice tipico dell’omosessuale del venerdì notte regolarmente sposato e con prole a carico.
Balza subito agli occhi l’abisso culturale che separa i politici del mondo occidentale evoluto dai politici italiani. Un primo ministro di destra, David Cameron, rivendica e fa propri i valori di uguaglianza, rispetto e moralità affinché ciascuno sia libero di essere chi vuole nel Regno Unito.
Carico di positività dopo la lettura del libro, mi asterrò dal fare paragoni coi politici nostrani e i clericalisti a contratto, i loro nomi li conosciamo, mentre lodo tutti coloro che hanno messo la faccia e la firma in questo progetto, come Michael Cunningham, Ivan Cotroneo, Matteo B. Bianchi, Hillary Clinton, Ivan Scalfarotto, Walter Siti, Chaz Bono, Ghemon, tanti altri, ma, sia chiaro, sarebbe meglio correre all’edicola più vicina e acquistare il libro che costa come due chili di pane, ha il vantaggio di essere free carbs e nutre molto di più, parola mia.
Cosa potrebbero invidiarci gli americani? Be’, amici, leggete i contributi di Aldo Busi e Alcide Pierantozzi, poi ne riparliamo. Ma quando mai li hanno letti due scrittori così, eh?
Detto questo l’auspicio è che “le cose cambiano” che è anche un blog e una pagina facebook, diventi un progetto ancora più ampio, capace di coinvolgere scuole e istituzioni, perché il messaggio che esprime è positivo e sincero, si percepisce voglia di esporsi, di mettersi a nudo per il prossimo, senza nulla chiedere in cambio, ciò che dovrebbe essere il compito di ogni intellettuale, tanto per ricordare un insegnamento di Cioran.
Di me che vi racconto?
Vediamo. Ho vissuto la mia adolescenza a Cagliari e posso dire di non essere mai stato vittima di alcun anche piccolo o insignificante episodio di bullismo o discriminazione.
Non saprei dire se sia dipeso dalla mia personalità – ammesso di averne una o solo una… – da una città così rassicurante quale è Cagliari o all’intelligenza dei miei compagni, sicuramente non ero un ragazzo chiuso in me stesso, riuscivo ad essere spiritoso e ironico, empatico, anche se mi faceva paura la mia sensibilità, ma altrettanto certamente credo di non aver avuto una sessualità definita sino ai vent’anni; mi prendevo le cotte per le ragazze ma sognavo di baciare bei ragazzi senza volto. In quel limbo tra i quindici e i vent’anni ho avuto la fortuna di avere degli amici che, pur avendo capito prima di me ciò che ero, mi hanno concesso lo strumento più prezioso per accettare le mie bizzarrie e tutto il casino che avevo in testa: il tempo. Tutto il tempo necessario per capire e approfondire alcuni discorsi con me. I ragazzi, lo ricordo, avevano un modo così ironico e intelligente per farmi capire che non era il caso che giocassi a calcetto, che vorrei ringraziarli uno per uno, mi hanno sempre fatto sentire uno di loro!
È stato un percorso lungo ma per nulla doloroso e in ogni caso fa parte della mia maturazione ammesso che ci sia stata; mi diverte ripensarci, provo tenerezza per il ragazzetto che ero, vagavo col sorriso sulle labbra senza sapere cosa diavolo stessi cercando, mi darei una pacca sulla spalla; posso dire che le cose migliorano parlandone, aprendosi al prossimo, con tutta la fiducia del mondo.
Carlo CamboniCopyright 2013 © Amedit – Tutti i diritti riservati
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