le cose che non sopporto, ad esempio, sono il sale sulla neve, i generatori di corrente, i telefoni con la mail e ogni altra macchinazione che dia l'idea di una continuità delle cose umane
Sono rientrata in tempo per parcheggiare l’auto, ho caricato il computer e l’agenda sulla spalla e sono scappata in casa. Per il resto non ho potuto nemmeno far bollire un bricco di tè: il cielo si è aperto e un’acqua pastosa ha invischiato prima le tegole e le foglie dell’albero di arancio, poi il resto, generando prima neve e poi ghiaccio, poi neve mista a vento e poi fogli di ghiaccio e fiocchi duri sulla strada e negli oliveti, tutto questo per due giorni di fila.
Ho trovato legna abbastanza per accendere il camino e cibo in scatola perché non ho avuto tempo di comprare verdura o altra frutta fresca. Respiro con f atica, fare la legna mi ha procurato un’infreddatura. Ma va bene. sento che tutto questo è parte di un ritmo delle cose al quale non sono abituata.
Al mattino del secondo giorno il telefono cellulare mi avverte, via sms, che a valle la vita dell’ufficio non è cambiata, che le mie mansioni non si sono rarefatte o allontanate e che ci sono incombenze e decisioni che dipendono da me.
Ecco cosa non sopporto: il sale sulla neve, i generatori elettrici, i telefoni con la mail, ma soprattutto la convinzione che esistano espedienti o schizofrenie tecnicamente assistite per aggirare le impossibilità legate alla condizione umana.
sto ascoltando Philippe Jaroussky, Pianti Sospiri