Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, dopo l'incontro di domenica con il suo omologo iraniano Javad Zarif, ha commentato con la giornalista Antonella Rampino della Stampa: «Dobbiamo pensare al ruolo che Teheran può svolgere negli scenari di crisi e nella lotta al Califfato». Secondo Gentiloni, occorre prima stringere sull'accordo sul nucleare e poi "invitare" l'Iran ad unirsi alla Coalizione che sta combattendo contro il Califfo.
Il capo della diplomazia romana, sembra dimenticare due aspetti. Il primo, è che l'Iran di fatto è già pienamente parte (attiva più degli altri, verrebbe da dire) di quella Coalizione – ci piaccia o no – anche se in forma “ufficiosa”. Il secondo, è che accordo o no, gli iraniani continueranno a combattere lo Stato Islamico, perché è di origine sunnita, mentre loro sono sciiti – e per questo sono e saranno alleati del governo filosciita iracheno.
Nel report di fine anno, l'intelligence israeliana aveva espresso un dubbio: cosa è davvero più pericoloso, il terrorismo di origine sunnita o l’Iran con un’arma atomica e alleato trasversale della Siria di Bashar el Assad, di Hezbollah in Libano, di Hamas nella Striscia di Gaza e degli Houthi yemeniti ora al potere a Sana’a? A giudicare dal discorso che il premier israeliano Bejamin Netanyahu ha fatto martedì davanti al Congresso statunitense, in seduta comune, Tel Aviv ha molto più che una risposta – ha detto Bibi che mentre l'IS è armato di «coltelli da macellaio, armi rubate e Youtube, l'Iran potrebbe avere presto missili balistici con testate atomiche». E (quasi avesse fiutato l'idea di Gentiloni, et alii) ha aggiunto: «In questo game of thrones non c’è posto per l’America o per Israele, per gli ebrei o per i cristiani: ISIS e Iran si stanno contendendo la guida dell’Islam militante»
Solo la solita retorica, nessuna alternativa concreta, è stato invece il commento alle parole del primo ministro israeliano diffuso dal portavoce della Casa Bianca (al “1600” di Pennsylvania Ave, la si pensa più come Gentiloni). Non bastasse la nota dell'addetto stampa, il presidente Obama c'è tornato sopra in un secondo momento davanti alle telecamere, sottolineando più volte che non aveva seguito il discorso in diretta, perché era impegnato in colloqui con gli “alleati”. Tra i due leader c'è un contrasto personale duraturo, tanto che i repubblicani hanno invitato Netanyahu a Washington senza “sentire” il Prez – Elizabeth Cobbs Hoffman su un blog di Reuters, ha ricordato che è la prima volta nella storia che un leader straniero viene invitato in America senza il consenso preliminare del presidente, ed è arrivata a dire che ci sono limiti di incostituzionalità in questo.
La situazione è tesa: sono volati gli stracci tra due alleati storici, su un tema delicato come l'Iran, che rappresenta un fulcro su cui gira tutta la geopolitica in Medio Oriente.
Gli accordi in discussione a Ginevra tra le diplomazie di Stati Uniti e Iran, non sono troppo convincenti secondo diversi analisti, che affrontano il tema con maggiore “laicità” e senza il sensazionalismo del primo ministro israeliano, che invece ha anche la necessità di spingere sull'acceleratore della campagna elettorale – le elezioni sono imminenti, e la poca consistenza dell'opposizione laburista alleata ai centristi dell'ex ministro Tzipi Livni, preannuncia che la votazione sarà un referendum su Bibi.
Innanzitutto, al tavolo svizzero si prevede di lasciare intatto l'intero apparato nucleare di Teheran, senza lo smantellamento di nessun sito, semplicemente congelando tutto per dieci anni (che in termini di sviluppo atomico sono niente). Inoltre i controlli e le restrizioni internazionali potrebbero essere aggirati (vedi il caso della Corea del Nord, che ha avuto una storia analoga e che adesso ha la bomba atomica). E per finire, non verrà impedito all'Iran di continuare lo sviluppo di missili balistici intercontinentali, che poi potrebbero diventare vettori per testate atomiche.
Un altro dei rischi concreti, è che l'accordo con Teheran possa creare impunità anche nei confronti dei suoi alleati (chiedete per esempio ad Assad, se adesso sarebbe disposto a smantellare l'arsenale chimico con cui ha sterminato migliaia di civili a Damasco appena due anni fa).
Il grande rischio però, oltre ad un “Iran atomico”, è che si inneschi una corsa al nucleare in tutto il Medio Oriente. Il mese scorso i sauditi hanno avuto un incontro con una delegazione dell’alleato Pakistan, in cui hanno confermato che continueranno a pagare per la manutenzione dell’arsenale atomico di Islamabad, ché lo considerano quasi come “roba loro” (anche dopo il cambio di re sul trono).
Se qualcuno teme che far saltare il tavolo con l'Iran possa innescare uno scombussolamento, si sta sbagliando – lo “scombussolamento” è già in atto, ed è invece molto legato al possibile accordo, e poi all'indecisione di Obama in Medio Oriente. Nel giro di una settimana, per esempio, il nuovo re saudita ha incontrato il sovrano giordano, il presidente turco e quello egiziano: un chiaro segno che un i vari partner americani stanno prendendo iniziative personali.
D'altronde i fatti raccontano di una “politica di Obama” colpita. Lunedì è iniziata la grande offensiva su Tikrit, città irachena del centro-nord, sotto controllo dello Stato Islamico. Il Pentagono è stato ufficialmente avvisato da Baghdad il giorno stesso, in contemporanea con i media: cioè non c'è stata notifica preventiva e l'avviso vale niente. Invece l'Iran, che con le milizie sciite di cui è sponsor sta affiancando in modo consistente l'esercito iracheno, ha avuto accesso alle pianificazioni preliminari, tanto che da sabato Qassem Suleimani (capo delle operazioni all’estero delle Guardie della rivoluzione e architetto della strategia iraniana per espandersi nella regione, che è legata alla creazione di quelle milizie) è arrivato a Tikrit per dirigere le operazioni.
Si tranquillizzi Gentiloni. L'assalto a Tikrit, città natale di Saddam Hussein, ci sarebbe lo stesso anche senza dialogo con l'Occidente. L'impegno che l'Iran ci sta mettendo, non è un “favore” alla Coalizione. L'attacco è una resa dei conti pseudo epica con i baahtisti di Saddam – sunniti – che erano (pure) ultimamente passati con l'IS, e che, appena entrati in città, avevano trucidato centinaia di reclute sciite dell'esercito iracheno intorno a Camp Speicher – una vecchia base utilizzata dagli americani ai tempi della guerra d'Iraq.
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