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Le donne del 6° piano

Creato il 06 giugno 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Parigi, anni ‘60, Jean-Louis Joubert, rigoroso agente di borsa e grigio padre di famiglia, conduce la sua piatta vita di esperto finanziario, vivendo con la moglie Suzanne e ricevendo ogni tanto la visita di due antipatici figli, mandati a studiare in collegio. Un giorno scopre che un’allegra banda di domestiche spagnole vive al sesto piano del suo immobile e decide di assumerne una: Maria. La bella e gentile ragazza gli rivela un universo esuberante e variopinto, l’opposto del suo ambiente educato e austero. Colpito da queste donne vivaci, si lascia andare e per la prima volta in vita sua assapora con emozione i piaceri semplici della vita, cogliendo la sfida del cambiamento.

Questa allegra congrega di colf devota alla Vergine, ai fornelli e alla risata, contagia il pubblico, malgrado quella di Philippe Le Guay sia una commedia davvero semplice, ma godibilissima proprio in virtù delle sue poche pretese. In questo, il film ha poco di francese, non ricercando né la battuta sofisticata e tagliente né una precisa dimensione intellettuale. Del cinema transalpino troviamo però il retrogusto amaro e il piacere dell’ambientazione, specie per quanto concerne gli interni. La bonne, ovvero la “domestica”, è una figura importante nella letteratura e nel teatro d’Oltralpe, basti pensare alle pièce di Eugène Ionesco, tra tutte, ricordiamo La Leçon (1950). Le Guay non la mostra mai come una semplice “serva”, bensì come un membro attivo nelle dinamiche familiari.

Sicuramente l’aspetto di maggior interesse di questa opera, probabilmente l’unico, è legato alle poche, seppur cruciali, tematiche sociali di cui parla. Ad esempio, quando l’immigrazione era ancora solo una questione europea e in Francia si recavano in cerca di lavoro spagnoli, portoghesi e italiani. Gli immigrati avevano certo difficoltà a integrarsi, ma di gran lunga di meno di quello che avviene oggi, quando il dialogo è tra persone che provengo da culture molto lontane.

Le donne del 6° piano è un film sulle differenze sociali, privo però di quella irritante acrimonia di stampo ideologico che ha contaminato per tanti anni il nostro cinema e la nostra cultura. Del resto, sappiamo bene che una delle pochissime cose veramente da invidiare ai francesi è proprio quell’essere coinvolti dalla politica in modo colto e non fazioso, e, soprattutto non violento, come avviene purtroppo da noi. La pellicola in questione appare come una riflessione fuori tempo sui meccanismi sociali e sulla differenza di classe, concetti morti e sepolti nel secolo scorso, disintegrati dalla sconfitta delle ideologie e dall’avvento della globalizzazione.

Per chi la ama, Le Guay ci propone una Francia snob e aristocratica e nel contempo suggestivo laboratorio multietnico in continua evoluzione. Un paese meno complesso di quello che vorrebbe essere, ma pur sempre unico per il rapporto che ha con la cultura, fiero difensore delle proprie tradizioni e modo di essere. Quella mostrata è una Francia gollista, dove regna la bienséance: il modo giusto di apparire ed essere, perfettamente incarnato nel personaggio di Suzanne, che con i suoi completi e perfino nelle sue camicie da notte, sempre ispirate a un decoro formale in cui l’apparenza finisce con il costituire l’unica sostanza, ci regala un ritratto quasi perfetto di un’epoca. Dall’altra parte, abbiano invece una Spagna da cui si fugge, dove c’è povertà e domina il franchismo, malgrado gli spagnoli sembrino avere una maggiore capacità di godersi le cose belle della vita rispetto ai più ricchi francesi; qui si individua una critica abbastanza palese del regista verso il proprio paese.

Da notare la presenza di Carmen Maura nel gruppo delle goliardiche colf iberiche. Lei, considerata una delle tre muse del regista Pedro Almodóvar, insieme a Penélope Cruz e Marisa Paredes, in questo caso si lascia andare a una recitazione fredda e poco partecipe, decisamente sottotono. A dire il vero, tutto il cast non brilla per qualità e carisma.

In definitiva, un film semplice, schietto, leggero. Una storia d’amore e di cambiamenti, con ben poche pretese, ma intrigante per chi è interessato ad alcuni aspetti della cultura francese, che non si risolvono nelle tante banalità e solita parigifilia nelle quali si perdono sovente molti italiani quando parlano della Francia; che a parer nostro – ciò vale anche per il suo cinema – è meno eccezionale di quello che afferma di essere, malgrado sia sempre unica e bella.

Riccardo Rosati


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