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Le donne di Edgard Allan Poe

Creato il 29 luglio 2015 da Wsf

Scrivere delle donne di Edgard Allan Poe è come entrare nel labirinto di Cnosso con il pericolo di perdersi. E’ necessario non aver paura del Minotauro, avere il coraggio di affrontare il male e come Teseo offrirsi in pasto a lui per ucciderlo. Ma, dal labirinto bisognerà pur uscire, bisognerà munirsi di un gomitolo rosso che ci aiuti a trovare la strada del ritorno: un filo di Arianna.
E allora iniziamo ad avventurarci, a srotolare il gomitolo per il ritorno. Coraggio!
Le donne di Poe incantano per la loro fragilità. Sono donne per la maggior parte malate, consunte dall’esistenza o imminenti alla non esistenza, simili alle donne che Poe aveva conosciuto in vita. La madre, Elizabeth Arnold Hopkins Poe, muore quando lui aveva due anni. La madre adottiva Maria Allan quando lui ne aveva venti.

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Virginia Clemm, la cugina tredicenne che Poe sposa , muore di tubercolosi.

La vita di Poe è presenziata dalla morte, dagli abbandoni, dalle malattie, dalla sua malattia di non saper accettare la fine. Così l’alcol, le scommesse, il rischio, lo sfidare le convenzioni, tanto ci sarà sempre una morte prima o poi.
Nel “The Raven” (Il Corvo), Poe decanta la Bellezza e l’accompagna alla Morte. Eleonora, una bella donna, muore. Il suo ricordo lo perseguita e lo spaventa. E quali labbra sono più adatte a esprimere il dolore provocato dalla perdita? Quelle dell’uomo privato della donna. Così, abbiamo da una parte il narratore che piange l’amata morta, dall’altra il corvo che continua a ripetere il refrain “nevermore”, in italiano “mai più”. Chi è destinato a pronunciare questa parola senza speranza? Poe non sceglie un umano, un essere razionale, ma opta per un animale, all’inizio un pappagallo, poi un corvo che l’accompagnerà nell’abisso della sua psiche, da quel luogo in cui il dolore, sepolto, deve essere riesumato.

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“Ah! distintamente ricordo; era nel fosco Dicembre, e ciascun tizzo moribondo proiettava il suo fantasma sul pavimento.
Febbrilmente desideravo il mattino: invano avevo tentato di trarre dai miei libri un sollievo al dolore – al dolore per la mia perduta Eleonora, e che nessuno chiamerà in terra – mai più”
Eleonora, Morella, Benerice, Ligeia, donne malate, rosicchiate da morbi, da morte prematura e l’amore in questa caducità sembra essere della morte sua naturale componente., quasi fosse impossibile amare ciò che non svanisce o sta per svanire, ciò che non esiste, non esisterà. Amare sapendo che niente sarà, solo la perfezione del dolore della perdita annunciata.
Morella, del famoso racconto, è donna erudita e sebbene il marito ne sia stato da subito attratto per la bellezza e l’intelligenza, ben presto comincia a provare per lei un sentimento che rasenta l’odio.

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“ Ma era ormai venuto il tempo in cui il mistero dell’atteggiamento di mia moglie mi opprimeva come un sortilegio: non riuscivo piu’ a sopportare il tocco delle sue esili dita ne’ il tono sommesso della sua musicale favella ne’ lo sfavillio dei suoi occhi malinconici”
Morella ben presto si ammala e il marito inizia ad attendere la sua morte.
“ Dovro’ dunque dire che attendevo con un desiderio ansioso, divorante, il momento del trapasso di Morella? Eppure e’ vero, ma il fragile spirito si avviticchiò al suo abitacolo di creta per molti giorni, per molte settimane e tediosi mesi sino a che i miei nervi tormentati ottennero il dominio della mia mente e il ritardo mi infuriò e con cuore demoniaco maledissi i giorni, le ore, gli amari momenti che sembravano allungarsi senza fine mentre la sua dolce vita declinava cosi’ come si allungano le ombre nello smorire del giorno.”
Sul punto di morte, Morella pronuncia le parole fatidiche.

“Questo è il giorno dei giorni- mi disse [..] – Sto per morire e tuttavia vivro’.
– Morella!
– Non sono mai venuti i giorni in cui tu mi avresti potuto amare, ma colei che in vita hai aborrito in morte adorerai.”
E partorisce una bambina che presto diventerà la sua copia perfetta, vera e propria incarnazione metaforica dell’Amore Possibile diventato Amore Impossibile. La sua bambina viene alla luce mentre Morella spira. Cresce nell’immagine perfetta della madre, di colei che scomparsa, pur vivrà.
“Trascorsero cosi’ due lustri della sua esistenzama sino ad allora la mia figliuola era rimasta senza nome sulla terra. “Bambina mia” e”amor mio” erano gli appellativi suggeritimi di solito dall’affezione paterna mentre il rigido isolamento delle sue giornate precludeva ogni altro rapporto. Il nome di Morella era morto con lei nel punto della sua morte”
La manifestazione di Morella, la sua predizione di non lasciare mai la terra si realizza il giorno del battesimo, messo di fronte alla scelta del nome per la bambina
“Pero’ dinanzi al fonte battesimale esitai prima di proferire il nome. E molti appellativi saggi e bellidi tempi antichi e moderni della mia terra e di terre stranieresi affollarono alle mie labbra insieme a molti dolci nomi gentilifelicibuoni. Che cosa mi spinse dunque a evocare la memoria della donna sepolta? Quale demone mi incalzo’ a proferire quelle sillabe che allorche’ soltanto le ricordavo solevano far rifluire in torrenti purpurei il mio sangue dalle tempie al cuore? Quale maligno spirito parlo’ dai recessi della mia anima quando tra le aeree navate nel silenzio della notteio bisbigliai all’orecchio dell’uomo di Dio le sillabe: “Morella”
Allucinante è la risposta della bambina al suono di quel nome: “…la mia creatura li soffuse dei toni della mortementre trasalendo a quel suono di lettere appena percettibili, ella volse i vitrei occhi dalla terra al cielo e cadendo prostrata sulle lastre della nostra cripta avita rispose “Eccomi”
Morella ritorna, mai morta. “ I venti dell’etere soffiavano entro le mie orecchie un unico suono e le increspature del mare mi mormoravano senza posa: – Morella. – Ma ella mori’ e con le mie proprie mani io la calai nella tomba e risi di un lungo amaro riso quando nella cappella funebre dove avevo deposto la seconda non trovai piu’ alcuna traccia della prima Morella”.

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Di Berenice, Poe racconta l’energia, l’essere felice a stare a suo contatto. Poe ricorda Berenice sempre piena di energia, felice a contatto con la natura; priva di pensieri dolorosi, al contrario di quanto accadeva al protagonista, malaticcio e sempre immerso già da piccolo in tetre meditazioni. Per lui la giovane era come una ninfa dei boschi dalla radiosa bellezza, una naiade tra le fontane.
“ I ricordi dei miei primissimi anni sono legati a quella stanza e ai suoi libri, di cui non dirò nient’altro…In tale stanza sono nato. Ridestandomi così dalla lunga notte di ciò che sembrava, ma non era, il non essere, per giungere, d’un ratto, nella terra stessa della fiaba, in un palazzo della fantasia, negli strani domini del pensiero e dell’erudizione monastica, non è affatto singolare che mi guardassi intorno con occhi ardenti e stupiti, che seppellissi la mia fanciullezza nei libri, e dissipassi la mia gioventù nella fantasticheria; singolare davvero è, invece, mentre gli anni fuggivano e il meriggio della virilità mi trovava ancora nel maniero dei miei avi, sorprendente è davvero l’arresto che colpì le sorgenti della mia vita, stupefacente la completa inversione che si operò nel corso dei miei più semplici pensieri.
Le realtà del mondo mi giungevano come visioni, e soltanto come visioni, mentre le folli idee della terra dei sogni divenivano, in cambio, non solo l’elemento della mia vita quotidiana, ma, realmente, la mia sola e intera esistenza”
Lady Ligeia invece è esile, alta. Ha passo di grazia, leggero ed impercettibile come un’ombra il suo arrivo. Solo la voce di lei rivelava la sua presenza e nessuna donna era pari a lei per bellezza.
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“Era la radiosità di un sogno d’oppio, un’aerea spirituale visione più trasumanamente divina delle fantasie che aleggiavano intorno alle anime sonnecchianti delle figliuole di Delo. Eppure i suoi tratti non avevano quell’impronta regolare che ci hanno falsamente insegnato ad adorare nelle opere classiche dei pagani. ”
Una bellezza che per essere autentica deve presentare qualche stranezza e quella di Ligeia non seguiva i canoni della regolarità classica: carnagione chiara color avorio, capelli corvini inanellati, naso volitivo, labbra sottili ed eleganti. Il volto era l’elemento più singolare e gli occhi erano molto grandi e pieni, nerissimi e profondi che assumevano un’espressione inconfondibile e unica nel momento delle emozioni più intense fino a diventare magnetici.
Lady Ligeia , a metà tra la vita e la morte, essere molto brillante, intelligente, ma sempre superiore alla realtà quotidiana della vita, librata verso altri mondi e altre esistenze che poco hanno a che fare con prosaicità della materia.
Le donne di Poe si interessano di metafisici e misterici, fungono da esseri angelicati, tramite verso il soprannaturale. Ma quando l’indole del protagonista si corrompe, anche la donna-angelo viene coinvolta in un inesorabile declino.
“E poi, poi tutto e’ mistero e terrore, in un racconto che non dovrebbe essere narrato. Un male, un male fatale, si abbatte’ come il simun sul suo corpo e, ancor mentre la contemplavo, lo spirito della dissoluzione la ghermi’, permeando la sua mente, le sue abitudini, il suo carattere, e in modo cosi’ sottile e spaventoso da alterare persino l’identita’ della sua persona! Ahime’! Il distruttore venne e fuggi’, e la vittima… dov’era la vittima? Io non la conoscevo, o almeno non la riconoscevo piu’ come Berenice.”
Il corpo delle sue donne che va incontro alla malattia, verso ignote patologie, misteriose e non ben definite, almeno agli occhi del protagonista, fino ad apparire al lettore di carattere psicosomatico. Donne trascurate dai mariti, guardate con sospetto e soggezione. Morella si ammala di un morbo misterioso che la consuma lentamente ma inesorabilmente.
“Tra la numerosa successione di mali prodotti da quel primo e fatale disordine che provocò un mutamento di natura così orrenda nella struttura fisica e morale di mia cugina, citerò come il più doloroso e ostinato una specie di epilessia che non infrequentemente si concludeva con una vera e propria trance, assai simile a una effettiva dissoluzione, e dalla quale il modo con cui ella si riprendeva era nella maggior parte dei casi sorprendentemente brusco”
Lo stesso male di Berenice e quello delle altre donne di Poe, vittime di una consunzione che le divora dall’interno senza scampo a cui segue una profonda trasformazione fisica: le lunghe mani bianche divengono quasi trasparenti, gli occhi felici si spengono, la carnagione impallidisce sempre più, le vene di colore blu diventano tumefatte e gonfie sotto la pelle, sul viso compaiono delle macchie rosse create dai capillari che si spezzano. Donne fisicamente e spiritualmente distrutte già dai primi contatti con i rispettivi protagonisti, come se Poe inconsciamente voglia vedere nell’uomo la causa della consunzione del femmineo. Berenice sviluppa i primi sintomi non appena inizia ad avere rapporti più intensi con il protagonista e sarà l’unione matrimoniale che le porterà lentamente alla malattia fisica e mentale poiché nel tentativo di salvare l’uomo, la donna viene inesorabilmente distrutta dall’incomprensione di quest’ultimo.
Gli occhi di Morella, che prima comunicavano un certo senso di protezione e calore, cominciano a spegnersi e a terrorizzare il protagonista, che ora non ama più la sua consorte,anzi, la rifiuta al punto da desiderarne la morte. Così Morella subisce la sua finale trasformazione: da angelo a spettro, sospesa tra la vita e la morte, sempre più vicina al trapasso, senza mai raggiungerlo.
Nelle storie di Poe, i personaggi maschili si scatenano contro le donne “amate”, arrivano a desiderarne la morte sentendole come una minaccia, donne capaci di risorgere anche dalla morte, come a dire che da loro, dalla loro presenza, dal loro bisogno non c’è scampo.


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