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Le donne di Modena sono forti

Da Famigliacolori

 

Le donne di Modena sono fortiLa contessa Rosa era una donna di bell’aspetto e di spirito pronto. Dopo avere frequentato il collegio dalle suore a Modena, dove coltivò l’amore per la musica e le lettere ereditato dal padre Carlo Testi, iniziò a frequentare i salotti nobili della città. Molti furono i suoi pretendenti, ma ella fece una scelta sfortunata, sposando un uomo dal brutto carattere e dedito al bere. Per questo la contessa si ritirò in campagna a Novi, presso il padre per dedicarsi ai figli, alle opere di carità e alla protezione dei patrioti perseguitati dal governo austriaco.
La contessa fu tra le prime a confezionare con le proprie mani le coccarde tricolori ed eseguì anche una bandiera che Ciro Menotti commissionò. Il duca, dopo avere fermato il patriota carpigiano, fece arrestare anche la nobildonna, nonostante questa avesse inghiottito un biglietto che sembra comprovasse il rapporto con i congiurati; fu strappata ai figli e condotta in una cella sporca e senz’aria. Ciò destò impressione viva nella gente e soprattutto in coloro che dalla contessa si erano sentiti beneficati e protetti. Sembra anche che tra la gente si cantasse questo ritornello:

Ciro Menotti l’è al cap di framasson

i l’han mné alla forca lighé com un birbon

e la contessa Rosa c’ha ga tgnù accurdon

par sua ricompensa i l’han misa in person.

Il duca, bontà sua, non fece tagliare la testa alla contessa, ma prima le permise una sistemazione più comoda, con la possibilità di rivedere i figli, di nutrirsi e di leggere. In seguito condannò la donna a tre anni di reclusione, da scontarsi nel monastero delle Mantellate a Reggio Emilia (un forte dello Stato Estense).
Ecco la sentenza:
Le donne di Modena sono forti

Il tribunale … si è riunito per giudicare la contessa Testi in Rangone di anni 39 …, imputata di complicità nella rivolta successa in Modena nella notte del 3 febbraio 1831 per avere cucito per commissione del capo ribelle Ciro Menotti una bandiera bianca rossa e verde con scienza che la medesima servir dovesse alla rivolta e di non aver rilevato un sì atroce delitto diretto a pregiudizio di S.A.R. Francesco IV nostro veneratissimo sovrano

18 giugno 1831

Furono fatti diversi tentativi perché la pena fosse ridotta, ma senza esito. Sembra che in occasione del matrimonio della figlia, la stessa contessa domandò al Duca di potervi assistere ed egli lo concesse, in cambio che ella si riunisse definitivamente al marito. La donna rifiutò. 

 

Scontata la pena, continuò a coltivare gli ideali di libertà e si racconta di un giorno in cui la contessa vide un ragazzo fuggire con il volto insanguinato. Chiestogli il motivo della fuga, rispose che era inseguito dalle guardie ducali per avere cantato “Viva l’Italia, viva la libertà”. La nobildonna pensò bene di nascondere il ragazzo sotto le ampie gonne e dare indicazioni sbagliate agli inseguitori. 

 

Rosa morì il 12 novembre 1859. 

 

 

 

(dalla testimonianza della pronipote Elena Sidoli in “Il pensiero mazziniano”) 

 


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