Le donne ed il Parkour a Gaza

Creato il 26 gennaio 2015 da Gato
Report di 5 giorni di allenamento
29 dicembre 2014 La presenza di una donna (Betta) praticante di parkour all'interno della delegazione italiana fin dal primo momento ha suscitato interesse nei media. Già durante il primo allenamento, infatti, una televisione locale e la televisione di al jazeera si sono presentate all'allenamento con l'obiettivo di documentare non solo il lavoro  della cooperazione italiana ma anche la presenza dell'unica donna che abbia mai praticato parkour nella striscia di Gaza. È la stessa giornalista a dichiarare ed enfatizzare l'importanza e l'eccezionalità della pratica da parte di una ragazza di una disciplina considerata solo maschile a Gaza oltre che la novità di un allenamento misto. Il primo allenamento si svolge nella palestra di jabalia, voluta da Muhammad (3run gaza). I giovani e numerosi praticanti sono increduli nel vedere una ragazza che si allena con loro, mantengono le distanze ma si può dire che, al di là del vistoso imbarazzo, non ci siano problemi di accettazione.

30 dicembre 2014Il secondo giorno ci spostiamo per allenarci nella grande piazza pubblica del quartiere di Sheik Zaied. La situazione cambia drasticamente e la presenza di una donna nel gruppo si rivela di difficilissima gestione. Infatti, non appena i praticanti cominciano ad allenarsi nella grossa piazza, molti adulti locali si radunano senza pudore  intorno alla ragazza, commentandola e seguendo i suoi movimenti, al punto che uno dei praticanti gazawi le chiede fermamente di smettere subito di allenarsi. Spiega che il suo obiettivo è quello di proteggerla dagli evidenti e irrispettosi commenti e sguardi indiscreti. Il messaggio che gli uomini sembrano mandare: "una donna che si allena in piazza tra gli uomini si può guardare e commentare". Particolarmente frustrante è stata la sensazione di impotenza che tutti abbiamo provato a causa del gap culturale e della  barriera linguistica.

31 dicembre 2014Il terzo giorno ci alleniamo presso l'università statale di Al Aqsa, a Khan Younis. Se siamo sospetti e sull'attenti a causa di quanto accaduto il giorno prima, ci accorgiamo subito di quanto il clima universitario non sia paragonabile  all'atmosfera della piazza di un quartiere periferico.E proprio in università che, grazie alla determinazione della coordinatrice della carovana Meri Calvelli, siamo riusciti in qualcosa di importante dando luogo ad un breve momento di allenamento misto. Al solito gruppo di praticanti si sono aggiunte una ventina di donne e insieme (o meglio, un cerchio di donne e uno di uomini) ci siamo riscaldati con qualche andatura e giri di corsa. Gli spalti erano gremiti di donne entusiaste e stupite, che incitavano il gruppo e facevano foto. Il gruppo femminile ha poi continuato ad allenarsi autonomamente seguendo la ragazza italiana. Un episodio che, per quanto isolato, può essere letto come l'inizio di un percorso.                  
1 gennaio 2014Al quarto giorno di allenamento si percepisce l'evoluzione del rapporto tra la ragazza e i praticanti gazawi. Dall'incredulità e invadenza iniziale, infatti, tanti ragazzi sono passati al rispetto e allo scambio reciproco, non senza qualche scontro diretto e ammonizione dei più arroganti.I valori quali  l'importanza del gruppo, la condivisione e il rispetto del compagno trasmessi dai coach ai  praticanti si sono estesi anche nel rapporto con la praticante che poco a poco viene considerata come parte del gruppo: incitata, ascoltata, supportata.   
Nell'allenamento nella piazzetta pubblica del quartiere di Khan Younis abbiamo l'impressione che il gruppo si senta più rilassato ed è forse proprio questo a far sì che, nonostante le nostre paure, la brutta situazione vissuta nella piazza di Sheik Zaied non si ripeta. Il pubblico maschile sembra più  rispettoso e meno invadente, anche grazie ai praticanti locali che sembrano aver elaborato strumenti di difesa: consigliando agli uomini di guardare da lontano che si vede meglio, di non commentare perché distraggono ma di applaudire.2 gennaio 2014Il penultimo giorno organizziamo un allenamento nella piazza centrale centrale di gaza city.Un po' a causa dell'infortunio di uno dei coaches italiani e un po' per la stanchezza, la praticante decide di fare da assistente.I ragazzi accettano qualche consiglio dalla ragazza, oltre che sia lei a scandire i tempi di alcuni esercizi e di  valutarne la correttezza. È una mossa che il primo giorno di allenamento sarebbe stata impossibile. I passanti osservano con ironia penetrante la situazione ma i praticanti continuano.
3 gennaio 2015 Osserviamo i ragazzi esibirsi nel loro show il giorno dell'evento finale, chiedendoci quanto abbiamo trasmesso loro, osservando quanto l'idea di parkour possa essere male interpretata da chi impara dai video di you tube, ma anche quanto il parkour sia facile (facilmente strumentalizzabile?) e bella metafora di libertà e voglia di volare.. oltre l'assedio.
Alcune voci femminili che ci hanno accompagnato
Rewa: "una donna che cammina per strada insieme a degli uomini è considerata a tutti gli effetti una prostituta."
"Durante la cena di capodanno: tutte le donne intorno a noi dentro di loro desiderano ballare, ma da quando c'è Hamas non possiamo più farlo."
"Non mi pace il velo, ma devo metterlo."
Le donne dell'università:"quando siamo tra di noi guardiamo il video della zumba, una danza che che i piace moltissimo. Ci piacerebbe poter andare in giro in canottiera come queste ballerine."
"Nessuna di noi è sposata, altrimenti non saremmo qui a studiare. A Gaza appena ti sposi perdi la tua libertà. E vivi tra le mura di casa."
"Ti posso mettere il mio velo?""Perché? ""Vogliamo capire se sei bella o no, con i capelli non capiamo."
Betta: "Sono rimasta affascinata dai grandi passi fatti in solo 5 giorni. La popolazione mi è sembrata profondamente consapevole e ricettiva, oltre che ironica. Come del resto è il popolo di Gaza che ho conosciuto: ha voglia di libertà,  di progresso, di guardare oltre al muro."
"le donne, che hanno subito anche le restrizioni di Hamas, mi sono sembrate coraggiose, aperte e dignitose. Credo che che si possa pensare ad un percorso di parkour al femminile, dove lo sport diventa strumento di libertà e di rivendicazione."

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