Foto Afp / Tofik Babayev
Il 9 ottobre 2013 in Azerbaijan si sono tenute le elezioni presidenziali. Grazie alla modifica della costituzione del 2009, confermata da un referendum ma criticata dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione di Venezia per la sua dubbia democraticità, il presidente Ilham Aliyev ha potuto ricandidarsi per la terza volta consecutiva ed essere rieletto con l’84.5% dei voti. La missione di osservazione a lungo termine (3 mesi) dell’OSCE/ODIHR, guidata da Tana de Zulueta, nel rapporto molto dettagliato del 10 ottobre, ha concluso che le elezioni “sono state compromesse da limitazioni alle libertà di espressione, di riunione e di associazione, che non hanno garantito la parità di condizioni per i candidati”. Un giudizio opposto a quello espresso nel comunicatocongiunto della missione a breve termine (4 giorni) dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (PACE) e di quella del Parlamento europeo, guidata dal deputato socialista Pino Arlacchi, secondo cui “nel complesso nel giorno delle elezioni abbiamo osservato un processo elettorale libero, equo e trasparente”. Per la prima volta, le missioni di monitoraggio internazionale non hanno trovato una mediazione ed hanno emesso comunicati contrastanti. Il caso, ovviamente, suscita reazioni. L’11 ottobre, l'Alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE, Catherine Ashton, e il commissario all'Allargamento, Štefan Füle, hanno diffuso una dichiarazione congiunta in cui fanno riferimento solo ai risultati della missione OSCE-ODIHR con solo un rapido accenno alle missioni di monitoraggio PE/PACE. Una settimana dopo, nella Commissione Esteri del Parlamento europeo che ha discusso il rapporto della missione guidata da Arlacchi, il gruppo dei Verdi reagisce duramente e in un comunicato ha criticato il rapporto ufficiale della missione PE accusando il Parlamento europeo di perdere credibilità con dichiarazioni che ignorano la realtà della situazione azera danneggiando la reputazione del Parlamento europeo nella lotta per i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto. Anche il gruppo socialista, cui appartiene Arlacchi, ha preso le distanze dalle conclusioni della missione PE/PACE, giudicandole così lontane da quelle dell'OSCE da non poter essere minimamente sostenute. Arlacchi però non ci sta e in un'intervista concessa all'agenzia azera Apa, ha ribadito la sua posizione e ha attaccato l'ODIHR accusandolo di essere formato “da un gruppo di cosiddetti esperti senza responsabilità politica, che non sono stati eletti da nessuno”, dunque facilmente manipolabili, “che vogliono solo essere sicuri di ottenere lavoro alla prossima occasione”. La sicumera di Arlacchi non ha però potuto evitare alla questione di aggravarsi. Tanto più che è venuto fuori il caso dei parlamentari europei che, in occasione delle elezioni del 9 ottobre, si sono recati non ufficialmente in Azerbaijan. L’European Voice, autorevole testata del gruppo Economist, in un articolo del 17 ottobre, ha scritto senza mezzi termini che “una grossolana stupidità o una meschina venalità sembrano essere le uniche spiegazioni plausibili per far sì che un membro del Parlamento europeo scelga di andare a Baku come osservatore non ufficiale alla farsa delle elezioni presidenziali in Azerbaijan della scorsa settimana”. Il giornale riporta la lista (precisando che probabilmente è incompleta) coi nomi dei deputati che “pare si siano dati al turismo elettorale” viaggiando a spese della Società per la promozione delle relazioni tedesco-azero, un'associazione tedesca “che appare come una subdola organizzazione di facciata per gli interessi del governo azero”. Tra questi ci sono alcuni aderenti al gruppo ALDE del quale ha fatto parte anche Arlacchi prima di passare al gruppo socialista. Secondo un funzionario interno al PE, citato da Osservatorio Balcani e Caucaso sotto garanzia di anonimato, “non c'è da stupirsi, è risaputo che vari membri del PE sono sulla 'business list azera'. Vale a dire regali, viaggi, hotel di lusso, eccetera”. La stessa fonte non nasconde che sontuosi cesti natalizi, caviale compreso (quello azero è uno dei migliori), raggiungono tranquillamente gli uffici di Bruxelles. Il Parlamento europeo a questo punto reagisce screditando indirettamente le conclusioni della sua stessa missione e nella risoluzione sulle Politiche di vicinato adottata il 23 ottobre viene messo nero su bianco il rammarico per il fatto che “stando alle conclusioni della missione a lungo termine dell'ODIHR, le recenti elezioni presidenziali tenutesi il 9 ottobre 2013 non abbiano, nemmeno in questo caso, soddisfatto gli standard dell'OSCE, essendo state imposte restrizioni alla libertà di riunione e di espressione; chiede, in tale ottica, alle autorità azere di affrontare e attuare rapidamente tutte le raccomandazioni incluse nell'attuale relazione e in quelle passate elaborate dall'ODIHR/OSCE”. Parole che non piacciono per niente al governo azero che, per bocca del suo capo delegazione in Euronest (l'assemblea istituita nel 2009 che riunisce i deputati del PE con quelli di Armenia, Azerbaijan, Georgia, Moldavia e Ucraina), accusa il PE di voler “creare disordini e sabotare l’Azerbaijan” anche se non è riuscito nel suo “piano di sabotaggio” per “trasformare l’Azerbaijan nella Libia o nella Siria” visto quanto ha dichiarato la missione guidata da Pino Arlacchi. Quindi la delegazione azera sospende la sua presenza in Euronest. Il 7 novembre a Bruxelles, la responsabile della missione di monitoraggio elettorale OSCE/ODIHR in Azerbaijan, si è incontrata con i portavoce dei gruppi della Commissione Esteri alla presenza del Democracy Support and Election Coordination Group (DEG). Stando a quanto si è appreso, la riunione è stata piuttosto accesa, ma non ha prodotto risultati, tanto che è stata aggiornata al prossimo 12 dicembre. In attesa di una possibile conclusione della vicenda, restano al momento due punti fermi. Il primo è che a sette mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, la crisi delle missioni di monitoraggio in Azerbaijan rischia di compromettere l’immagine di un pilastro importante dell'azione esterna e dell'immagine dell'Unione europea. Lo ha scritto anche l'European Stability Initiative in un recentissimo rapporto. Il secondo è che, al centro di questo pasticcio, c'è Pino Arlacchi, del quale si ricorda la spregiudicata gestione dell'ufficio antidroga dell'Onu, denunciata da un suo collaboratore e documentata in un corposo dossier del Partito Radicale Transnazionale. Una gestione tanto discutibile che, alla scadenza, l'incarico non gli fu rinnovato come da prassi consolidata del Palazzo di vetro, ma solo prorogato. Pare che l'allora segretario generale Kofi Annan abbia chiesto esplicitamente ad Arlacchi di dare spontaneamente le dimissioni per levarlo dall'imbarazzo di non riconfermarlo per un secondo mandato. Passano gli anni ma, evidentemente, non cambiano i metodi con cui il sociologo di Gioia Tauro gestisce gli incarichi che riceve (o almeno alcuni di questi). Per informazioni più dettagliate si rimanda alla lettura dell'articolo di Luka Zanoni per OsservatorioBalcani e Caucaso al quale questo post è debitore. Sul sito di Radio Radicale è disponibile un'intervista di Ada Pagliarulo a Tana De Zulueta e un servizio sulla missione di monitoraggio internazionale in Azerbaijan. Informazioni sulla gestione dell'Ufficio Onu per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine diretto da Arlacchi dal 1997 al 2002 sono reperibili sul sito del Partito Radicale Transnazionale.Magazine Politica
Le elezioni in azerbaijan, il parlamento europeo, l'osce... e pino arlacchi
Creato il 23 novembre 2013 da PasudestPossono interessarti anche questi articoli :
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